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Trump: strategia o non strategia questo è il dilemma

Possiamo riconoscere una strategia, o elementi di una strategia, in ciò che dichiara Trump, solo se conosciamo la strategia, la teoria strategica, nella politica internazionale ed in particolare nella negoziazione strategica volta alla risoluzione di un conflitto.

La teoria poi trova realizzazione nelle dichiarazioni e nelle azioni. Su questo non vi possono essere dubbi. I dubbi ci sono quando si chiede di predire il futuro di un conflitto, cosa accadrà per certo, non possiamo dirlo a priori. Possiamo invece tentare di comprendere la linea di una strategia attraverso dichiarazioni, posizioni, azioni.

Frontstage e backstage

Le dichiarazioni pubbliche dei leader, specialmente quelle di Trump, sono compiute, in quello che viene chiamato “frontstage” (palcoscenico) termine tratto dal linguaggio del sociologo Erving Goffman ed elaborato dallo studioso di relazioni internazionali Carson. Le dichiarazioni che rientrano in questo ambito non sono necessariamente intese per le dirette controparti della negoziazione, ma piuttosto una via per comunicare con altri pubblici di riferimento.

Nel caso dell’incontro Trump-Zelensky alla Casa Bianca potrebbero essere altri Paesi, ma anche la Russia. In ciò, spesso, vi è anche il pubblico domestico a cui si indirizzano siffatte dichiarazioni, come modo per “sembrare tosti” alla base di consenso del leader, base particolarmente importante per Trump.

Quindi le dichiarazioni pubbliche nel frontstage sono spesso semplicemente una postura.

Tutto ciò accade in contrasto con il lavoro reale che accade nel “backstage” (retroscena), in questo caso le negoziazioni sull’accordo, sul quale il pubblico generale riceve soltanto informazioni limitate. Per quanto riguarda le negoziazioni, in linea generale, noi vediamo le foto dei colloqui. Sentiamo riassunti di discussioni delle parti, ma non vediamo ciò che accade fondamentalmente dietro le scene. Alle volte ciò che accade dietro le scene può tracimare nel frontstage. Questo può spiegare la ramanzina paternale di Trump contro Zelensky.
Il presidente ucraino a quanto pare ha rifiutato una bozza iniziale di un accordo sui diritti minerari presentata dall’amministrazione Trump perché non includeva esplicitamente garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti. Mentre per Zelensky, quando si tratta di sicurezza, l’ideale sarebbe la membership della NATO, la posizione americana, espressa dal segretario di stato Marco Rubio, è che il legame economico creato dell’accordo sui minerali è sufficiente per assicurare l’impegno di Washington nella sicurezza dell’Ucraina.
Per fornire un contesto alle azioni di Trump è senz’altro utile ripercorrere l’approccio dell’amministrazione Trump nel sostegno all’Ucraina.

Trump ha avuto una lunga e complicata storia con l’Ucraina, che risale al suo primo mandato come presidente. Nel 2019, l’esercito ucraino stava combattendo le forze separatiste sostenute dalla Russia nella regione Donbas in un conflitto a bassa intensità che Mosca ha sobillato sulla scia della sua annessione della Crimea nel 2014. A quel tempo, Trump cercò di utilizzare il continuo flusso di assistenza militare americana come leva affinché Zelensky autorizzasse un’investigazione sulle attività di Joe Biden in Ucraina quando Biden era ancora vicepresidente. Trump sperava di utilizzare l’investigazione per macchiare la reputazione di Biden, che si aspettava essere il candidato democratico, cioè l’oppositore di Trump, nell’elezione presidenziale del 2020.
Mentre l’aiuto non fu mai tagliato, il tentativo di utilizzare fondi autorizzati dal congresso per guadagni politici personali rappresenta la base del primo impeachment di Trump, e questo ha evidentemente, da allora, tinto di colori non luminosi le visioni di Trump su Zelensky e l’Ucraina.
A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, Trump – non più presidente – inizialmente ha messo in discussione l’utilità di sostenere l’Ucraina militarmente. Egli alla fine sposta la sua posizione proponendo che gli Stati Uniti forniscano aiuto da essere “paid back”, probabilmente convertendo gli aiuti in prestiti.
Per quanto riguarda l’Ucraina, oltre ad essere ossessionato dall’idea di essere ripagato, Trump si è fissato sul voler essere quello che negozia la fine del conflitto. Ciò è stato centrale nella sua campagna elettorale. Una delle sue linee di campagna elettorale più efficaci é stata che la Russia non aveva compiuto niente di nuovo, in termini di aggressione all’Ucraina e ai suoi vicini rispetto al suo primo mandato da Presidente. Ha quindi affermato che una volta eletto avrebbe portato Ucraina e Russia a parlarsi al telefono per risolvere il conflitto in “24 ore”.
Chiaramente ciò non è accaduto .

Ciononostante Trump vuole fortemente un accordo. Anche se qualcuno può ritenerlo spregiudicato, è probabilmente un tentativo di Trump di portare la Russia a vedere gli Stati Uniti come un “mediatore onesto” .
Ovviamente tutto questo avanti e indietro con l’Ucraina non ha alcun valore se la Russia non è impegnata nella negoziazione. La necessità di Trump di posizionarsi come imparziale, anche se gli Stati Uniti sostengono attivamente l’Ucraina, spiega con più probabilità perché gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione delle Nazioni Unite.
Resta certo che essere visto come un onesto mediatore non è abbastanza per raggiungere un accordo se una delle parti non vuole fondamentalmente l’accordo.
Nell’intervista a Rubio, di qualche giorno fa, proprio Rubio riconosce che non è chiaro se i russi siano veramente interessati a concludere il conflitto. Putin ha una particolare fissazione con Ucraina e vede il dominio del Paese come centrale per la sua missione di restaurare la grandeur russa come Grande Potenza. Considerata la mentalità di Putin, un accordo che ponga fine alla guerra non solo è improbabile, ma probabilmente impossibile. Resta lo scenario possibile di un accordo piuttosto che una chiara vittoria di una parte sull’altra.

Madman Theory

Comportarsi come un bullo, utilizzare toni minacciosi, dichiarazioni di minaccia, insomma tutto quello che è andato in scena nell’incontro alla Casa Bianca con Zelensky, ma anche nelle dichiarazioni sulla “riviera a Gaza” possiamo considerarle un’applicazione della madman theory. Secondo questa logica, esaminata criticamente da McManus, ma anche da altri illustri studiosi, la rottura delle norme da parte di Trump, ma anche le sue tattiche da bullo inettano imprevedibilità in ogni calcolo di intensificazione della crisi, dissuadendo palesemente l’altro attore dallo sfidare gli Stati Uniti. Indiscutibile che Trump abbia impiegato questo strategemma durante il suo primo mandato sfidando sia la Russia che la Cina.
Le minacce di Trump ad alleati di lungo corso sono un esempio di coerce to deter termine coniato da Zhang: fare il bullo con Stati più piccoli è un segnale che Trump invia: “ecco cosa potrebbe accadere se provocate una grande potenza“.
Secondo H.R. Haldeman Nixon conia il termine “madman theory” spiegando di volere che i nord vietnamiti credessero che fosse capace di compiere qualsiasi gesto per portare alla conclusione la guerra in Vietnam, incluso l’utilizzo di armi nucleari. La Teoria propone che un leader che si comporta come se potessere fare qualsiasi cosa ha migliori opportunità di persuadere altri attori globali a fare concessioni che altrimenti non farebbero.
Nei primi anni della Guerra Fredda, gli strateghi Ellsberg e Schelling pensarono a possibili virtù di coltivare una reputazione di pazzia nel coercive bargaining (situazioni di negoziazione coercitiva). In The Strategy of Conflict Schelling scrive che non è un vantaggio universale in situazioni di conflitto essere inalienabilmente e manifestamente razionali. Se altri credono che un uomo pazzo possa fare qualsiasi cosa se non si fa a modo suo, la minaccia di intensificazione diventa più credibile, rendendo logico di concedere di più allo scopo di diminuire il conflitto.

Nessuno dei due strateghi ha raccomandato che un presidente degli Stati Uniti si comportasse in questo modo. Nessuno dei due pensava che lo stratagemma dell’uomo pazzo potesse essere utile nel lungo termine. Recentemente la letteratura accademica è stata scettica nella probabilità di successo.
Una delle ragioni per cui lo stratagemma di Nixon è fallito è che i funzionari russi, familiari con le decadi in cui Nixon ha svolto il suo lavoro, sapevano che pretendeva di giocare all’uomo pazzo.
La prima regola di questa teoria è che non si parli di utilizzarla.
Molteplici sono le ragioni per dubitare che Trump sarà in grado di giocare efficacemente il madman nel suo secondo mandato. Molti leader stranieri hanno, ora, familiarità con gli stratagemmi di Trump.
La coercive diplomacy (diplomazia coercitiva), ha sottolineato la letteratura scientifica, richiede due tipi di impegno credibile:
a. l’obiettivo deve credere che l’altro attore porti a compimento le minacce, non importa quanto costose siano;
b. l’obiettivo deve credere che l’attore che minaccia cesserà e desisterà dalla coercizione una volta che l’accordo è stato raggiunto.
Agire come un madman potrebbe rendere il primo tipo di impegno più plausibile, ma rende il secondo tipo di impegno meno plausibile.

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Pubblicato inpolitica internazionaleStati Uniti

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