Kamikaze e attentatore suicida non sono sinonimi
Kamikaze non è sinonimo di attentatore terrorista suicida, eppure in Italia si continua ancora ad usare il termine kamikaze. I kamikaze giapponesi non hanno nulla in comune con i contemporanei attentatori terroristi suicida.
La stessa notizia in Italia viene diffusa così: Turchia, attacco Kamikaze , all’estero così: Turkish troops killed in suicide blast. Evidentemente, in Italia, non solo per i giornalisti, usare un termine impropriamente è all’ordine del giorno, peccato che si fa davvero una figuraccia se si sapesse a cosa si riferisce il termine kamikaze.
Chi sono i Kamikaze
La strategia Kamikaze è emersa tra il 1944 ed il 1945, come diretta risposta al fatto che la marina imperiale giapponese aveva perso la maggior parte delle sue navi da guerra e quasi tutte le sue portaerei ed i rifornimenti di carburante dall’Indonesia erano stati per la maggior parte tagliati. Nel 1944 le truppe dell’esercito imperiale giapponese non riuscivano a sopravvivere: senza cibo e senza munizioni. La battaglia di Leyte Gulf (23 – 26 ottobre 1944) vide il primo attacco kamikaze: i piloti giapponesi si schiantavano con i loro aeroplani contro obiettivi militari.
La campagna Kamikaze è unica: i partecipanti ci hanno lasciato una vasta quantità di lettere, poemi, memorie. Le analisi condotte soprattutto dall’ Institute of Cognitive and Decision Sciences Evolution & Cognition Focus group dell’ Università dell’Oregon ci dicono che i piloti erano motivati dalla conoscenza che la loro morte, presumibilmente, avrebbe aiutato a migliorare le fortune dell’apparato militare giapponese in declino. La maggiore fonte di piloti kamikaze era l’ Air Force Cadet Officer System, venivano reclutati all’università e al liceo su base volontaria.
Perché non è possibile usare il termine Kamikaze come sinonimo di attentatore terrorista suicida ?
I piloti kamikaze: a) non agivano sotto coercizione; b) non erano fortemente motivati dalle attitudini culturali giapponesi verso il suicidio per se; c) non erano fortemente motivati dalla religione.
Non è possibile comparare la mentalità dei kamikaze con quella dei terroristi che si fanno saltare in aria. Un’importante differenza risiede nel fatto che gli attacchi kamikaze erano realizzati e legittimatati dall’apparato militare di uno Stato, mentre gli attacchi degli attentatori suicida sono generalmente pianificati e autorizzati da organizzazioni che si posizionano al di fuori della struttura dello Stato. In contrasto con i contemporanei attentatori suicida i loro obiettivi sono sempre stati aeroplani militari, navi e soldati, mai civili. Durante gli ultimi mesi della guerra del pacifico, gli obiettivi militari erano gli unici che i kamikaze potevano sfidare, secondo le condizioni di guerra. Per i piloti kamikaze l’obiettivo finale delle loro azioni non era uccidere i soldati nemici o raggiungere la vittoria della guerra, ma forzare gli Alleati a fare concessioni per terminare la guerra, terrorizzandoli con gli attacchi suicida.
Le parole sono la più potente droga usata dall’uomo. (Rudyard Kipling)