Guerra del terrore: dinamiche locali e affiliati
L’ascesa dello stato islamico e la capacità di recupero di Al Qaeda hanno molto a che fare con fattori e dinamiche locali che guidano anche le scelte degli affiliati dei due gruppi, molto più dell’ideologia.
L’ideologia è importante quando si tratta di valutare una minaccia, guida le relazioni del gruppo, così come le traiettorie degli attacchi e finanche le motivazioni di attori individuali, come ci mostra la storia del salafismo militante. Dal momento che questi gruppi spesso offrono l’ideologia come un razionale per le loro attività e azioni, le spiegazioni ideologiche possono alle volte essere preferite a meno esoteriche realtà. Come risultato, fattori come denaro, infrastrutture, persone, risorse, senso di legittimazione e beneficio percepito e reale – tutti possono condurre ad alleanze politiche – sono spesso trascurati. Meno attenzione è data alla sostenibilità delle alleanze, anche se gruppi militanti salafisti competono molto più spesso l’uno contro l’altro.
Guerra del terrore: dinamiche locali
Nella guerra del terrore che vede l’ascesa dello stato islamico e la resilienza di Al Qaeda, la lotta per la leadership del movimento jihadista globale, ha molto a che fare con fattori locali.
Diversamente da Al Qaeda, lo stato islamico non ha una rete di emissari di lunga data e di finanziatori attraverso cui può costruire favori in una regione o finanziarsi in tempi bui.
Le relazioni tra individui e le connessioni di lunga durata in particolari regioni sono importanti non solo per il finanziamento, ma anche per mantenere l’autorità e la rete d’influenza. Al Qaeda, ad esempio, è resiliente in Yemen ed in Somalia perché i suoi legami e la sua presenza nei due paesi, in termini di persone ed infrastrutture, risale a 20 anni fa. Gli emissari di Al Qaeda hanno generalmente operato in entrambi i paesi senza molta interferenza.
Il “localismo” è il cuore del modello di state building dell’ISIS. Per evitare che i movimenti jihadisti continuino a sfruttare la rabbia interna, la frustrazione, il disincanto, offrendosi di punire le autorità percepite come oppressive e cercando di sostituire il loro sistema di controllo, le potenze regionali, come l’Iran e l’Arabia Saudita, dovrebbero rompere le frontiere della loro politica vetusta e perseguire il multilateralismo. Malgrado l’accordo per il nucleare, non deve essere consentito all’Iran di continuare liberamente a sostenere dittatori e a render operative milizie armate per rafforzare i suoi interessi nel Medio Oriente e contrastare l’influenza sunnita.
Al Qaeda dal canto suo, pur in maniera nascosta, ma sempre crescente, ha usato il “localismo” per sviluppare le sue radici tra comunità lacerate dai conflitti, nell’assenza di una governance, tuttavia la perdita dei ranghi più anziani della leadership potrebbe catalizzare un processo di disgregazione interna. Questo perché la perdita della fedeltà nella nuova leadership potrebbe spingere i gradi inferiori dell’organizzazione ad una competizione con l’ISIS imitandolo nelle pratiche più brutali.
Sono questi processi interni di trasformazione, a mio avviso, che vanno sfruttati, perché potrebbero incrementare il dibattito interno che si catalizzerebbe su posizioni opposte e dare il vita alla disintegrazione degli affiliati in fazioni più piccole e quindi obiettivi più vulnerabili.
Dall’altra parte, la strategia dello stato islamico si muove proprio dalla perdita della leadership centrale di Al Qaeda, soprattuto dalla morte del Mullah Omar, e continuerà a sfidare la credibilità di Al Qaeda come leader tradizionale del lesser jihad. Lo stato islamico potrebbe tentare di acquisire più affiliati di Al Qaeda o smantellarli incoraggiando la defezione. Al – Shabab appare il più vulnerabile, e la resilienza di AQAP malgrado la morte di al – Wuhayshi potrebbere essere messa alla prova, intensificando le dinamiche settarie nello Yemen. La guerra del terrore all’interno del più grande movimento jihad si muove quindi sfruttando le dinamiche locali in ogni regione.
Le dinamiche degli affiliati dell’ISIS e di Al Qaeda
La promessa di fedeltà dei gruppi jihadisti non deve essere vista come vincolante o durevole, piuttosto come una condizione temporanea. Quando la fortuna di un gruppo svanisce o la leadership cambia, le alleanze si muovono rapidamente verso formazioni che si provano più vantaggiose al gruppo o al suo leader. Prestigio, soldi, manodopera sono queste le forze che guidano le alleanze molto più dell’ideologia.
Il problema degli affiliati di entrambi i gruppi è che finché sia Al Qaeda che lo Stato islamico possono erogare denaro ai gruppi affiliati, questi li seguiranno, ma quando i soldi verranno a mancare, essi guarderanno altrove per sostenersi: per cui affiliati distanti cercheranno nuovi spasimanti o creeranno nuove imprese.
Inevitabilmente, alcuni affiliati guarderanno agli stati desiderosi di finanziarli in guerre proxy contro i loro avversarsi. L’Iran invece di combattere lo stato islamico in Siria, potrebbe essere interessato nel supportare la tattica del terrorismo dello stato islamico nelle frontiere dell’Arabia Saudita. Attenzione non ci confondiamo: l’Iran usa Hezbollah come proxy – da sempre – per tenere in piedi il regime di Assad. L’Arabia Saudita potrebbe usare facilmente AQAP come un alleato contro gli Houthi (supportati dall’Iran) nello Yemen. Le nazioni africane potrebbero trovare più semplice pagare i gruppi jihadisti che minacciano i loro paesi piuttosto che affrontare i persistenti attacchi nelle loro città. Quando il denaro scarseggia, gli affiliati di Al Qaeda e dello stato islamico si faranno sicuramente ben pochi scrupoli nel prendere i soldi dai i loro nemici ideologici se questi condividono gli stessi interessi a breve termine.
Resta essenziale tenere bene a mente che concentrarsi sulle valutazioni globali di ampio raggio fanno trascurare le sfumature regionali e locali; e sono proprio queste ultime che guidano l’ascesa o la caduta di organizzazioni come Al Qaeda o l’ISIS e che delineano i contorni della guerra del terrore.