Boko Haram: l’erba cattiva non muore mai
Boko Haram, come altre organizzazioni simili, ha in sé una sorta di genialità: avanzare verso obiettivi politici attraverso il raggiungimento di enormi effetti psicologici con il minor investimento di risorse possibile.
In realtà quello che aiuta questi gruppi nel recuperare dalle sconfitte militari è la mancanza di attenzione che si dedica alle questioni principali che li sottendono e li fanno crescere.
Verso la fine del marzo di quest’anno, in Italia, rimbalza su tutti i mezzi d’informazione un video in cui Boko Haram dichiara di arrendersi. Chiaramente malgrado la stampa internazionale abbia deciso di non diffondere il video in attesa della conferma dell’autenticità dello stesso, in Italia si dice sempre di tutto. Il gruppo estremista però non tarda a diffondere un video in cui dichiara che non si arrenderà mai. Quest’ultimo video non viene peraltro diffuso in Italia, tanto per lasciare il pubblico nella confusione.
Chi è Boko Haram?
Eccovi una scheda riassuntiva.
Boko Haram è ancora una minaccia
Malgrado i rapporti che dicono che Boko Haram sia stato allontanato da tutti i territori che controllava all’inizio del 2015, il gruppo continua a porre una seria minaccia alla sicurezza delle popolazioni dei quattro paesi attorno al lago Chad: Nigeria, Niger, Camerun e Ciad. Le organizzazioni internazionali hanno difficoltà ad accedere alle aree dei 26 governi locali nel nord Adamawa, sud Borno e est Yobe, più del 30% della nord est rurale della Nigeria, a causa della persistente presenza dei militanti di Boko Haram.
Oggi Boko Haram assomiglia più ad un’impresa criminale piuttosto che a un gruppo jihadista. Coloro che vivono nei territori controllati dal gruppo, dichiarano che molti degli appartenenti all’organizzazione estremista conoscono solo in maniera rudimentale l’ideologia del gruppo stesso. Radicato nell’influenza, sin dal 2009, del nuovo leader Abubakar Shekau, questa metamorfosi è iniziata con l’espulsione nel 2013 di jihadisti dalle roccaforti urbane a Borno ad opera del personale di sicurezza nigeriano e di vigilanti indigeni conosciuti come Civilian Joint Task Force. In risposta Boko Haram ha iniziato a lanciare raid punitivi sulle comunità che sospettava appoggiassero i vigilanti. Boko Haram si è trovato ad operare in città e villaggi le cui popolazioni non erano musulmane e neanche mosse da visioni di un violento Islam come quelle del gruppo. Per cui Boko Haram ha dovuto ricorrere sempre di più a incentivi materiali, coercizione, rapimento dei minori per riempire i suoi ranghi, cambiando fondamentalmente la composizione del movimento. Malgrado il loro territorio invaso e le linee di comunicazione compromesse, le figure più anziane del gruppo sopravvissute sono ancora attive e per la maggior parte si sono ritirate nei boschi. Lì pare che abbiano abbandonato tutte le pretese di essere impegnati in una guerra santa, saccheggiando le comunità rurali lasciate senza la protezione dell’esercito nigeriano.
La visibile assenza di un fervore ideologico tra i combattenti di Boko Haram non presagisce necessariamente la caduta del gruppo. Esiste ancora un cuore jihadista determinato a portare avanti la sua lotta contro la Nigeria ed i suoi vicini. Al di là di questi fanatici ci sono numerosi ribelli che, mentre forse non sono interessati nel condurre il jihad, restano fedeli all’alto comando di Boko Haram. Le unità individuali di Boko Haram godono di un grado di autonomia operativa che gli permette di conservare la loro coesione e le capacità militari anche quando isolate da gruppi militanti. La distruzione delle linee di rifornimento di Boko Haram ha creato delle sfide logistiche per il gruppo, anche se saccheggiare le comunità vulnerabili ha in qualche modo mitigato questo fatto. E malgrado le recenti sconfitte, Boko Haram non ha sofferto di defezioni in larga scala. Questo ci suggerisce che i militanti di Boko Haram conservano un senso di solidarietà di gruppo oppure che hanno paura di violente rappresaglie da i loro compatrioti o dalle forze di sicurezza nigeriane.
La locazione dei rifugi di Boko Haram, particolarmente la foresta Sambisa, lago Ciad, le montagne Mandara lungo la parte nord della frontiera Cameroon – Nigeria, presenta un grande ostacolo alle operazioni per contrastarli ed eliminarli. Nel loro inaccessibile territorio, queste aree hanno ospitato a lungo gruppi che cercano di evitare il controllo dello stato, sette islamiche dissidenti, tribù, banditi.
A pagare il prezzo sono le comunità distrutte
Per le comunità distrutte, abbandonate a sé stesse nel migliorare i fattori socio – economici, sarà impossibile ricostruire la loro vita, soprattutto se continua la depredazione ad opera di Boko Haram.
La presidenza Buhari è appesa a due minacce: Boko Haram e la corruzione che sottrae linfa vitale alle fondamenta del governo nigeriano e alla società. Tuttavia, avendo fallito nel riconoscere i due fenomeni e le loro connessioni ci sembra che abbia esigue possibilità di successo.
Mettere in sicurezza il nord – est richiede un livello di presenza dello stato senza precedenti nella regione. Presenza che l’amministrazione Buhari non sembra dare, a parte aver dichiarato che Boko Haram è stato sconfitto, ed esprimere il desiderio di iniziare a ricollocare più di 2 milioni di Internally Displaced Persons, anche se molto del nord est non è colpito dal conflitto. Buhari con la sua pressione sugli aspetti militari del contro – estremismo sta facendo lo stesso errore degli americani che uccidono i combattenti, che sono il sintomo e non la malattia.
Curare il sintomo e non la malattia
Il principale elemento chiave sottostante a Boko Haram è la corruzione. Un decennio di ricerca sulle motivazioni dei gruppi estremisti dimostra che la povertà non è correlata alla probabilità di unirsi a queste tipologie di gruppi. Una governance inefficiente, l’ingiustizia, specialmente quando combinate con profonde fratture sociali, sono invece motivazioni che spingono gli individui a far parte di queste organizzazioni.
A marzo 2016, il Benin annuncia che contribuirà con 150 soldati alla Multinational Joint Task Force (MJTF), una coalizione dell’Africa occidentale la cui missione è quella di combattere Boko Haram. La Task Force ha approssimativamente un totale di 9,000 truppe, ciononostante è un appoggio primariamente politico piuttosto che un gruppo militare integrato. Le forze armate nazionali perseguono le loro campagne: esplicitamente supportano la narrativa della cosiddetta “soluzione africana ai problemi dell’Africa”, ma implicitamente facilitano il coinvolgimento occidentale nella battaglia contro Boko Haram, spesso su base bilaterale. L’approccio regionale rafforza anche le posizioni politiche di governanti autoritari nella regione.
La MNJTF resta una buona idea in principio: Boko Haram è diventato un problema regionale; tuttavia da un punto di vista politico rimane un’ennesima distrazione rispetto alle situazioni e problematiche oggettive dell’Africa Occidentale.