Gennaio 20 2016

Implementation day oscurato dal Prisoner day

Implentation day

L’Implementation day, giorno in cui viene diffuso dall’IAEA il rapporto che verifica gli adempimenti dell’Iran viene quasi oscurato dallo scambio di prigionieri tra Stati Uniti ed Iran.

Cos’é l’ Implementation Day?

Il giorno in cui viene diffuso il rapporto IAEA che ha verificato che l’Iran ha adempiuto agli impegni previsti dall’accordo sul nucleare. Vediamo i punti salienti:

-Reattore Arak: l’Iran ha cessato di perseguire la costruzione del reattore Arak basato sul suo disegno originale e ha rimosso l’esistente calandria ( che è il contenitore cilindrico del reattore che contiene il moderatore di acqua pesante. È penetrato da capo a piedi da centinaia di tubi calandria, che aggiustano la pressione dei tubi che contengono il combustibile e il liquido refrigerante)e non é più operativo. L’Iran ha fatto tutte le modifiche necessarie al processo di produzione esistente del combustibile naturale uranio per la modernizzazione del reattore Arak.
La capacità di arricchimento é sotto 5060 centrifughe IR – 1; rimosso tutte le centrifughe aggiuntive e le infrastrutture sono a Natanz sotto continuo monitoraggio.
– L’arricchimento R&D non accumula l’arricchimento di uranio.
Nell’impianto di arricchimento combustibile di Fordow non si sta conducendo nessun arricchimento di uranio o relative R&D
– Produzione di centrifughe e trasparenza nella produzione di componenti delle centrifughe.
Simultaneamente, l’UE termina le disposizione del Regolamento del Consiglio 267/2012 e sospende le disposizioni corrispondenti alla decisione del Consiglio 2010/413/CFSP e gli stati membri cambieranno la propria legislazione successivamente. Le sanzioni tolte includono: la proibizione e autorizzazione a trasferimenti finanziari all’Iran e dall’Iran, su: attività bancarie, assicurazioni, supporto finanziario e commercio con l’Iran, prestiti, assistenza finanziaria, obbligazioni pubbliche garantite dal governo dell’Iran, petrolio, gas e settore petrolchimico.
Nello stesso tempo, gli Stati Uniti cessano l’applicazione delle sanzioni finanziarie e misure bancarie, nel settore petrolchimico ed energetico; transazioni con operatori portuali e spedizioni, commercio dell’Iran di oro e metalli preziosi e la rimozione di centinaia di individui ed entità dalla lista delle Specially Designated Nationals and Blocked Persons List (SDN List), the Foreign Sanctions Evaders List, ovvero the Non-SDN Iran Sanctions Act List. Gli stati Uniti si impegnano anche a permettere la vendita di aeroplani trasporto passeggeri e le relative parti e servizi esclusivamente per uso civile.

Lo scambio di prigionieri oscura l’Implementation day

Implementation DayIn un giro di valzer, l’annuncio del così detto “implementation day” è stato quasi oscurato da un separata ma ugualmente significativa svolta: il rilascio di 5 iraniani – americani detenuti a lungo in Iran.  Prese insieme queste pietre miliari rappresentano un importantissimo passo in avanti per l’Iran e per gli sforzi diffusi del suo presidente, Hassan Rouhani, per muovere il suo regime rivoluzionario verso una più grande moderazione sia a casa che all’estero.
Il rilascio dei prigionieri da parte dell’Iran, la maggior parte di doppia nazionalità iraniana – Americana non è stato un atto di generosità. Ogni uomo detenuto fu messo in prigione palesemente con accuse inventate e trattato in un modo terribile durante la detenzione, in cui in un caso è durata per più di 4 anni. La loro libertà avviene come parte di uno scambio di prigionieri che includeva la clemenza per sette iraniani detenuti negli Stati Uniti, così come la rimozione di 10 iraniani dalle liste dell’Interpol. Gli accordi non includevano l’uomo d’affari americano Siamak Namazi, che era detunuto da ottobre, neppure l’ex agente dell’FBI Robert Levinson che è scomparso in Iran nel 2007.
Il rilascio di 5 americani detenuti rappresenta un passo indietro iraniano su una questione centrale per le ideologie di regime. Per Tehran, imprigionare americani non era mai stato motivato dalla prospettiva di un profitto. Piuttosto, il centro di gravità all’interno dell’elite iraniana al potere rimane che c’è una cospirazione guidata dagli americani per il cambio di regime, facilitato da coloro che hanno la doppia nazionalità come quelli arrestati.
Teheran non prende alla leggera queste minacce percepite ed i suoi leader non rilasciano presunte spie americane volentieri. Questi mesi di negoziazione che hanno dato vita allo scambio di prigionieri racchiudono un considerevole investimento di capitale politico da parte di politici iraniani più pragmatici.
Ancora più significativo è il tempo dello scambio di prigionieri.Gli sforzi fatti per enfatizzare che i colloqui sul destino dei prigionieri erano distinti dai colloqui sul nucleare, il loro rilascio lo stesso giorno in cui iraniani, americani ed europei si erano riuniti per formalizzare l’adempimento dell’accordo sul nucleare fanno evidentemente associare il rilascio dei detenuti americani con l’accordo.
La confluenza dei due eventi rafforzerà soltanto la convinzione dei conservatori iraniani dei complotto e gli alleati americani nel golfo vedranno lo scambio di prigionieri come una prova di quello che hanno sempre sospettato e di cui hanno molta paura.
L’odierna leadership iraniana non cerca nè il pieno riavvicinamento neppure è preparata a pagare il prezzo che questa retromarcia potrebbe contenere.
Molti commentatori si sono focalizzati sulle rivalità delle fazioni iraniane, prendendo gli ultimi sviluppi come una vittoria dei moderati sui conservatori. Tuttavia questa enfasi sulle fazioni tende ad essere esagerata e troppo semplificata. L’assortimento iraniano dei gruppi politico – ideologici è fluido e multi – valente, essi cooperano anche se competono e le loro differenze verranno sovrastate dal loro comune impegno per la continuazione del sistema di governo.
In contrasto, le linee divisorie dell’autorità istituzionale nella Repubblica Islamica sono sempre state più strenuamente demarcate. La presidenza iraniana è costruita con un ruolo deliberatamente subordinato e ognuno dei predecessori di Rouhani si è irritato per le sue limitazioni.
Il successo è anche un testamento dell’amministrazione Obama nella diplomazia. I repubblicani nella campagna presidenziale sono stati molto vocali nel criticare le negoziazioni e le concessioni a Teheran, ma è difficile immaginare che ci sia una trazione aggiuntiva da vincere per aver liberato americani innocenti.

Gennaio 19 2016

L’accordo sul nucleare: capirlo in pochi facili passi

accordo sul nucleare

Iniziamo la rubrica “vedremo un McDonald a Teheran” cercando di capire cosa è l’accordo sul nucleare

L’accordo sul nucleare, partorito dopo 12 mesi di negoziazione, un successo per la diplomazia, che prevede una linea temporale di 10 anni. Ci sono diversi punti a sfavore.

Il 14 luglio 2015, giorno in cui è stato raggiunto l’ accordo su un piano congiunto di azione detto JCPOA sul nucleare in Iran hanno tutti gridato al trionfo della diplomazia, all’aver evitato una guerra. Ci sono voluti ben 12 mesi di negoziazione tra i P5 (Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Cina e Russia) e il “+1”: l’Iran.
Il testo ha un totale di 159 pagine, 18 rappresentano il JCPOA stesso, poi ci sono 141 pagine divise in 5 annessi. E’ un documento estremamente complesso, che cerca di abbracciare e indirizzare tutte le questioni sulle controversie del programma nucleare iraniano, da quali e quanti tipi di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio l’Iran potrà mantenere operative, alle specifiche tecniche della trasformazione del reattore Arak in un design meno sensibile alla proliferazione a una quantità enorme di disposizioni dettagliate sulla precisa sequenza delle sanzioni che verranno revocate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea (UE).

Il 20 luglio 2015 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta la risoluzione 2231 attraverso cui sostiene l’accordo sul nucleare.

Che cos’è l’accordo sul nucleare?

E’ un accordo di qui pro quo per il quale l’Iran accorda a delle significative limitazioni del suo programma nucleare civile e ad un’intesa attività ispettiva dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) allo scopo di verificare la continua, pacifica natura del programma. Quindi i P5+1 hanno convenuto in una revoca coordinata delle sanzioni economiche e finanziare che sono state imposte all’Iran nei passati 6 anni sia dal Consiglio di Sicurezza agendo multi – lateralmente che dagli Stati Uniti e dall’UE in particolare, agendo unilateralmente.

Lo scopo dell’accordo

L’Iran verrà sostanzialmente trattato come uno stato che produce normalmente energia nucleare, al pari del Giappone, della Germania e di altri stati parte del Trattato del 1968 sulla Non – proliferazione nucleare.

L’implementazione

La precisa sequenza dell’implementazione degli impegni del JCPOA è stato uno dei temi maggiormente discussi. Il piano prevede approssimativamente una linea temporale di 10 anni. Tecnicamente il cosiddetto giorno in cui le risoluzioni del Consiglio di sicurezza avranno termine è stato programmato tra 10 anni a partire dal giorno dell’adozione che è stato pianificato essere 90 giorni dopo l’ ”approvazione” del JCPOA da parte del Consiglio di Sicurezza. La revoca finale di tutte le sanzioni unilaterali e multilaterali dovrebbe avvenire nel giorno cosiddetto di “transizione”, che è definito essere 8 anni dopo il giorno dell’adozione ovvero quando i rapporti della IAEA indicheranno che tutto il materiale nucleare iraniano è destinato ad un uso pacifico.

Meccanismo di risoluzione delle controversie

Viene creata una commissione congiunta composta da un rappresentante di Cina, EU, Francia, Germania, Iran, Russia, UK, Stati Uniti.
Pro: Creare un giusto processo, con scadenze predefinite in modo che le controversie non si possano prolungare all’infinito. Ogni membro del Consiglio di Sicurezza con potere di veto, potrebbe, assicurare che le sanzioni vengano re – imposte se non sono soddisfatte con i risultati delle deliberazioni della Joint Commission ovvero non sono soddisfatte con la performance della parte che è sotto esame.

Contro: l’Iran ha dichiarato che se le sanzioni vengono re – imposte in tutto o in parte, le tratterà come la base per  cessare di impegnarsi ad implementare l’accordo sul nucleare in tutto o in parte. Sarà molto più difficile per i governi legittimare ogni risposta al di fuori dal JCPOA, inclusa ogni risposta unilaterale, alle violazioni iraniane all’accordo intese a prevenire l’Iran dall’acquisizione di armi nucleari almeno e fino a quando il processo della commissione si sia esaurito.
Realisticamente, la volontà degli stati di tenere responsabili altre parti per l’implementazione ed intraprendere i passi necessari per farlo rispettare dipenderanno dalle circostanze che si paleseranno. Queste circostanze includeranno la performance dei termini specifici del JCPOA così come dinamiche politiche, economiche e di sicurezza più ampie, anche se il JCPOA è confinato alla materia relativa al nucleare.

Riduzione delle centrifughe IR-1s

Oggi, molte delle delle 19000 centrifughe di gas so a bassa capacità IR – 1s, ma l’Iran ha messo su macchine più avanzate IR – 2m e sta sviluppando modelli più potenti. Per 10 anni, l’Iran ridurrà di circa 2/3 le sue 19,000 centrifughe. L’Iran potrà avere solo 6,104 centrifughe IR – 1 di prima generazione installate e non ne potrà usare più di 5,060 per arricchire l’uranio. Per 15 anni, l’Iran non potrà costruire nuovi impianti di arricchimento, ma deve ridurre le sue scorte di uranio arricchito di circa 10000 chilogrammi a 300 chilogrammi (arricchite al massimo livello di 3,67 %). l’Iran sarà soggetto a strette limitazioni su tutte le centrifughe R&D per 8 anni. Lavori saranno permessi solamente su un numero limitato dei modelli più avanzati a condizione che le operazioni di controllo e di prova non contribuiscano alle scorte iraniane di uranio impoverito. Trascorsi 8 anni, le restrizioni sullo sviluppo di tecnologie avanzate verranno rimosse.

Pro: per 8 anni, il tempo che l’Iran necessiterebbe per produrre abbastanza uranio impoverito per un’arma nucleare, il cosiddetto “breakout time” – dai 2 ai 3 mesi sarebbe aumentato ai 12 mesi. La IAEA sarebbe capace di rilevare se l’Iran sta imbrogliando sui limiti di arricchimento in ogni impianto dichiarato.
Contro: l’Iran conserverebbe un programma di arricchimento su una scala che fino a questo momento non è stata giustificata dai bisogni pratici del paese. Dopo che le restrizioni da 10 a 15 anni saranno terminate, l’Iran potrebbe espandere le sue attività di arricchimento senza restrizioni sulla tecnologia, sul livello, e sulla locazione. Potrebbe anche sviluppare centrifughe più avanzate e più potenti, incluse quelle che sono oggetto delle restrizioni dell’accordo sul nucleare.

Il sito Natanz

Natanz è il  più grande sito iraniano  di arricchimento dell’uranio e la rivelazione che nel 2002 l’Iran l’aveva costruito in segreto fece scatenare la crisi nucleare. Infatti, ci sono due impianti di arricchimento a Natanz. Uno è una struttura di scala industriale disegnata per 50,000 centrifughe ed è al momento equipaggiata con più di 15,000 centrifughe IR – 1 e circa 1,000 IR – 2ms. Una seconda, più piccola è usata per le operazioni di verifica di centrifughe avanzate e in sviluppo e fino al 2013 arricchite al 20%. Secondo il JCPOA, l’Iran è limitata a tenere operative solo 5,060 centrifughe IR – 1 a Natanz per 10 anni. Tutte le centrifughe IR – 2m saranno rimosse e conservate in un programma monitorato dall’IAEA
Pro: per 10 anni, l’Iran sarà solo capace di arricchire usando le sue centrifughe IR-1
Contro: dopo 10 anni, l’Iran potrebbe iniziare ad incrementare l’arricchimento di uranio con centrifughe più avanzare, e quindi incrementando la sua capacità di arricchimento.

Il reattore IR – 40 ad Arak

accordo sul nucleareDal 2006, l’Iran ha sfidato le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che ordinavano la sospensione della costruzione del reattore IR – 40 ad Arak un reattore ad acqua pesante idealmente adatto alla produzione di armi al plutonio. Secondo il JCPOA l’Iran non completerà l’IR-40 come pianificato, ma modificherà il suo disegno, limiterà le sue attività che includono l’acqua pesante e rimuoverà dal reattore il combustibile irradiato. L’Iran si impegna a non ri – processare il combustibile spento per 15 anni e dichiara di non intenderlo farlo dopo.

Pro: la modifica del progetto IR-40 ridurrà significativamente la quantità del plutonio che potrebbe essere prodotto ad Arak e assicurerà che se l’Iran cerca di produrre armi al plutonio, lo potrà fare solo con piccolissime quantità.
Contro: dopo 15 anni, l’Iran potrebbe decidere di ri – processare il combustibile.

Gennaio 19 2016

Vedremo un McDonald a Teheran?

McDonald

Da oggi nasce una nuova rubrica sul mio blog!

McDonaldSeguiamo insieme gli sviluppi dell’accordo sul nucleare e cerchiamo di capire se vedremo il McChicken servito sui tavoli di un McDonald a Teheran

Vedremo che vuol dire questo accordo anche per la politica interna dell’Iran.

Insomma cercheremo di capire se questo accordo sul nucleare funziona e chi ci guadagna.

Stay tuned!

 

Dicembre 31 2015

I quesiti lasciati in sospeso dal 2015

2015

Il 2015 ci lascia con questioni in sospeso: i giochi delle potenze a spese delle popolazioni già dilaniate da guerre civili. Africa, Medio Oriente, Europa, auguriamoci che il 2016 porti qualche risposta efficace.

I quesiti che il 2015 lascia aperti, sono purtroppo tanti. Alcuni più pressanti.

La Russia trionferà o sarà un epic fail in Siria?

Quest’anno il presidente Putin ha deciso di intervenire in Siria e questo avrà necessariamente un effetto di lungo termine sulla risposta che le grandi potenze daranno nelle prossime crisi. Se Mosca riuscirà ad aggiudicarsi un accordo di pace congeniale ai suoi interessi, i falchi dalla Cina e dagli Stati Uniti diranno che la forza militare è ancora un efficace mezzo nell’arte di governare mettendo una grande ombra sulle lezioni che si dovrebbero apprendere dal fallimento degli Stati Uniti in Iraq.
A Washington gli analisti invece prevedono che la Russia finirà per restare intrappolata in un pantano creato da essa stessa. Se questo sarà il caso allora le maggiori potenze diventeranno riluttanti nell’intervenire nelle nuove guerre.

Le coalizioni arabe sunnite riusciranno ad assumere il ruolo di “stabilizzatori” del Medio Oriente e del Nord Africa, minando ogni intervento esterno?

Uno degli interventi militari più significativi di quest’anno è stato l’incursione guidata dall’Arabia Saudita per cacciare i ribelli Houthi dallo Yemen. Riyadh è riuscita a mettere insieme una coalizione di alleati arabi sunniti, supportati da mercenari ben pagati. Questo intervento non è proprio andato liscio come l’olio, ha finito per rafforzare il potere dell’affiliato locale di Al Qaeda e gli arabi potrebbero rivolgersi alle Nazioni Unite per mandare i peacekeepers nel 2016. Tuttavia se i sauditi e i loro alleati concludono che malgrado i costi l’operazione in Yemen sia valsa la pena, potrebbero lanciare queste “missioni di stabilizzazione” nel Medio Oriente, Nord Africa negli anni a venire, minando i tentativi di incursione esterni nella regione.

L’Unione Europea sarà finalmente pronta per la gestione delle crisi?

L’Unione Europea si è sforzata di diventare una forza militare convincente per due decadi. Un po’ meglio è andata nel 2015, con le opzioni navali per gestire il traffico di migranti nel Mediterraneo. Tuttavia la crisi dei rifugiati, gli attacchi di Parigi, il disordine in Nord Africa gradualmente hanno spaccato l’Unione in cui ogni stato membro ha fatto i propri giochi di potere. Potremmo augurarci che il 2016 sia finalmente l’anno della serietà dell’Unione Europea nelle questioni di sicurezza.

Le potenze africane riusciranno a controllare il loro continente?

L’Unione Africana sta lavorando su piani di intervento per fermare la discesa verso il caos del Burundi. Se avesse successo potrebbe essere un buon passo verso la costruzione di qualcosa di meglio che le improponibili ed inefficaci missioni di stabilizzazione in Somalia ed il dispiegamento confuso nella Repubblica Centrafricana.

Il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Kabila, riuscirà ad umiliare le Nazioni Unite?

Kabila sta cercando con grande determinazione e tenacia di aggirare la costituzione per vincere il terzo mandato al comando del più grande paese dell’Africa sub – sahariana, che ha ospitato i peacekeeper per 15 anni. Questo potrebbe rivelarsi un’enorme crisi di reputazione per le Nazioni Unite per aver “costruito” stati funzionanti che alla fine si rivelano dei grandi danni essi stessi. Tuttavia se Kabila decidesse di farsi da parte, sarebbe un segnale di successo per i caschi blu dopo le recenti battute d’arresto in Sud Sudan e Mali.

Riusciranno le grandi potenze ad eleggere come segretario generale delle Nazioni Unite, un vero manager delle crisi?

Nel 2017 ci sarà l’elezione del nuovo segretario generale ONU, in questo anno riusciranno a trovare uno diverso da Ban Ki – moon che ha sempre preferito stare nelle conferenze diplomatiche?

Ci auguriamo che il 2016 porti risposte concrete efficaci. BUON ANNO!

Dicembre 11 2015

L’ Arabia Saudita tra petrolio e fondamentalismo islamico

Arabia Saudita

L’ Arabia Saudita ed il suo petrolio sono troppo importanti per gli Stati Uniti. La vendita di armi all’ Arabia Saudita ammonta a circa 1 miliardo di dollari al mese. L’unica monarchia assoluta al mondo che si muove sui dettami del fondamentalismo islamico.

Per molti anni, troppi, gli Stati Uniti ed in generale l’Occidente, hanno chiuso un occhio sul supporto ideologico e finanziario dell’Arabia Saudita ai gruppi estremisti di matrice islamica. Il petrolio era, ed è, troppo importante per l’economia globale, e non solo. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, gli Stati Uniti hanno esportato 934 milioni di dollari in armi all’Arabia Saudita dal 2005 al 2009. Dal 2010 al 2014 hanno esportato 2.4 miliardi di dollari in più. Questo mese hanno approvato un’altra spedizione di 1 miliardo di dollari. Gli Stati Uniti forniscono addestramento, condividono intelligence e danno supporto logistico all’apparato militare saudita.

La monarchia stringe un patto con il diavolo: Muhammad Ibn al – Wahhab

map_ArabiaSaudita_ColumbiaUniversity

Nel 1744 un predicatore itinerante chiamato Muhammad Ibn Abd al- Wahhab si unisce alle forze di coloro che crearono il primo regno saudita. Mentre i sauditi fornivano leadership militare e politica, Wahhab e i suoi discendenti fornirono legittimazione e leadership religiosa. Wahhab e i suoi discepoli praticavano una versione settaria e puritana dell’Islam sunnita che chiamava ad un ritorno al fondamentalismo letterale e intolleranza per ogni forma di deviazione dalla loro linea conservatrice di quello che costituiva l’originale fede del profeta Maometto.
L’attuale re Salman ha spostato il regno ancora più vicino, se possibile, all’establishment wahhabita. Salman, immediatamente dopo essere salito al trono, licenza l’unica donna ministro; l’inizio di una linea sempre più conservatrice.

L’Arabia Saudita e il supporto agli estremisti islamici

Sia il governo che individui all’interno dell’Arabia Saudita sono stati una delle maggiori fonti di supporto per gruppi estremisti internazionali ben prima dell’11 settembre 2001  ed hanno continuato nel corso degli anni. Si tende a dimenticare che molti degli attentatori dell’ 11 settembre venivano dall’ Arabia Saudita. Nel 2012, l’ambasciatore saudita in Pakistan ebbe contatti multi – livello con la rete Haqqani autrice degli attacchi del 2011 all’ ambasciata americana a Kabul. L’attuale re Salman, che era stato il governatore di Riyad, era incaricato di aumentare i finanziamenti privati per i mujahedeen dalla famiglia reale e da altri sauditi facoltosi. Incanalò decine di milioni di dollari ai mujahedeen e più tardi fece lo stesso per le cause dei musulmani in Bosnia ed in Palestina.
Questo supporto per il fondamentalismo islamico all’estero non dovrebbe sorprenderci più di tanto  dato che lo stato islamico abbraccia nella sua ideologia gli elementi chiave della setta estremista wahhabita sponsorizzata dall’Arabia saudita. La monarchia saudita ha speso più di 10 miliardi di dollari per promuovere il wahhabismo nel mondo attraverso organizzazioni caritatevoli come il World Assembly of Muslim Youth. 

L’uomo “americano” al potere: Muhammad Bin Nayef (MBN)

Principe ereditario ed erede al trono di re (il secondo in linea al trono).Studia all’FBI verso la fine degli anni ottanta e all’istituto di antiterrorismo di Scotland Yard dal 1992 al 1994. Tra il 2006 ed il 2009 l’ Arabia Saudita diventa un vero e proprio campo di battaglia giacchè Al Qaeda attacca obiettivi nel regno, incluso il quartier generale del ministero dell’interno a Riyadh. MBN lancia la controffensiva: il ministero dell’interno divulga una lista dei most wanted di Al Qaeda e poi procede alla loro caccia per poi ammazzarli. Le sue operazioni erano estremamente precise e senza vittime civili. MBN diventa il simbolo del regno contro il terrorismo, apparendo continuamente in tv.
MBN sembra essere il principe più pro – americano ad essere in linea per il trono. E’ probabilmente l’ufficiale di intelligence più capace nel mondo arabo oggi. Tuttavia Washington non si deve fare illusioni sul fatto che MBN possa prendere da conto il consiglio occidentale di riformare il regno. I sauditi aiutarono ad organizzare il colpo di stato del 2013 in Egitto e ripristinarono il regime militare nel paese arabo più grande.

Il futuro dell’Arabia Saudita

Supporto_ArabiaSaudita

L’Arabia Saudita è l’ultima monarchia assoluta che per questo riveste un enorme significato da un punto di vista geopolitico.

La famiglia reale non perderà il controllo della nazione, neppure perderà i suoi legami con i wahhabiti e il loro credo. Il re Salman, il principe ereditario MBN e il vice principe ereditario Muhammed bin Salman e virtualmente il resto dell’establishment saudita credono fermamente di essere sopravvissuti per due secoli e mezzo nella politica confusa del Medio Oriente non per la loro determinazione nel rimanere una monarchia assoluta, ma perché alleati con i religiosi wahhabiti.  Alcuni funzionari occidentali sostengono di imporre all’Arabia Saudita delle sanzioni per fermare il finanziamento ai gruppi estremisti di matrice islamica. Pur tuttavia ritengo che imporre un embargo sulle esportazioni di petrolio saudite come quello imposto all’Iran per il suo programma nucleare avrà sicuramente un effetto drammatico sul prezzo globale del petrolio almeno nel breve periodo.

Ottobre 17 2015

L’Afghanistan di oggi: prima parte

Afghanistan oggi

L’Afghanistan oggi è un governo frutto di coercizione diplomatica, un territorio insicuro e un popolazione che oscilla tra i Talebani e il governo di unità nazionale.

Afghanistan: le truppe americane rimarranno per tutto il 2016, parola di Obama! Dunque gli Stati Uniti restano: perché? Molto semplice: nell’ autunno del 2014 il segretario di stato americano John Kerry si rivolge al team di Abdullah asserendo che se non avessero trovato un accordo per un governo di unità, gli Stati Uniti non sarebbero stati più in grado di supportare l’Afghanistan. La dichiarazione di Kerry non era un’offerta che Ghani ed Abdullah potevano rifiutare. Il governo attuale non è certo un trionfo di consenso forse più un caso di studio nel campo della “coercizione diplomatica” e la sua sopravvivenza sarebbe stata in serio pericolo se gli americani si fossero attenuti alla data di completamento del ritiro fissata per la fine del 2016.

L’Afghanistan di oggi è un paese sì, dove ci sono più bambini nelle scuole, più accesso ai servizi sanitari di base che prima dell’invasione del 2001, accesso internet: più connessioni al mondo esterno. Una delle prime cose che ha fatto il nuovo presidente Ashraf Ghani è stata quella di creare un ponte con Islamabad. Differentemente dal suo predecessore, Ghani ha intuito che sarebbe stato meglio essere carino con il suo vicino piuttosto che con New Delhi.
Sia Ghani che Abdullah Abdullah cercano di far funzionare il governo di unità nazionale, ma l’avanzata dei Talebani a Faryab e a Kunduz non si è arrestata per i loro buoni propositi. Politici influenti come Rashid Dostum (vice presidente di Ghani) e Atta Nor (il potente governatore della provincia di Balkh)hanno dichiarato con forza e spesso, che secondo loro, le forze afghane da sole, non sono in grado di mettere in sicurezza l’intero paese.

Da quando gli afghani hanno assunto il controllo della sicurezza del paese nel 2014, più civili sono stati uccisi, più soldati sono morti, più truppe afghane hanno disertato come mai prima e le forze di sicurezza stanno ancora torturando un terzo dei loro prigionieri. Secondo gli americani le vittime civili sono il risultato di “impegni di terra” tra gli afghani e gli “insorti” costituiscono l’8% dei primi tre mesi del 2015 comparati allo stesso periodo del 2014. L’ultimo rapporto di UNAMA (http://unama.unmissions.org/)ci dice che nella prima parte del 2015 le forze afghane hanno causato più vittime civili di quello che hanno fatto i Talebani. Le forze afghane stanno morendo a numeri da record. Nei primi 5 mesi del 2015, le vittime tra le forze di sicurezza erano del 70% rispetto allo stesso periodo del 2014. Secondo un rapporto americano la più grave lacuna è il fatto che se un soldato non si mostra a lavoro per più di un mese non viene più conteggiato come tale.
La presa di Kunduz, la sesta città più grande dell’Afghanistan, da parte dei Talebani, arriva in un momento inopportuno per il governo di unità nazionale, che ha completato il suo primo anno. Anche se pare che le forze di sicurezza afghane abbiano ripreso molto della città. In verità l’Emirato Islamico dell’Afghanistan ha ufficialmente dichiarato di essersi ritirato dalla città per il bene degli afghani in virtù dei bombardamenti americani sempre più frequenti (Taliban admit Kunduz withdrawl). L’incidente ci pone degli interrogativi circa l’efficacia dello stato afghano, l’approccio allo state – building e il piano americano di ritirare tutte le truppe.
A Kunduz, i Talebani hanno mantenuto con successo l’influenza nei distretti dove per anni hanno goduto del supporto e l’hanno capitalizzato in uno sforzo concertato per espandere la loro influenza al punto che i combattenti talebani si sono trovati essi stessi all’ingresso della città. La presa di Kunduz non è stata sviluppata notte tempo e la minaccia alla città richiederà di più che operazioni militari. Kunduz è un microcosmo dell’Afghanistan con parti uguali di tagiki, uzbeki, pashtun così come minori proporzioni di turkmeni e hazari. La provincia è una delle più stabili economicamente, baciata da una fertile agricoltura e da depositi di minerali e non da ultimo, importante crocevia logistico. Non solo è la principale via est – ovest tra le aeree del nord e lungo la via principale nord – sud verso Kabul, ma la sua frontiera con il Tagikistan fornisce una via di traffici illegali redditizia verso il centro Asia.
Importante sottolineare che i semi che hanno poi dato vita agli eventi a Kunduz sono stati piantati ben prima che il governo di unità  entrasse in carica.

Cosa si potrebbe fare?

Quello che deve necessariamente porre in essere questo governo è una politica bilanciata, assicurando un’equa distribuzione tra tutte le circoscrizioni elettorali etniche. Kunduz ci dimostra che la diversità per amore della diversità non solo può provarsi inefficace ma anche pericolosa e contro – produttiva. Come dicevamo la divisione del potere tra Ghani e Abdullah è il prodotto di una considerevole pressione diplomatica americana. Tutti gli accordi di divisione di potere sono fragili, particolarmente nelle condizioni di una guerra in corso. La maggior parte di questo genere di accordi in conflitto e post – conflitto arriva in gran parte attraverso la pressione internazionale e l’Afghanistan non fa eccezione. Gli Stati Uniti premettero su Karzai per anni e non ottennero buoni risultati. Hanno usato la pressione diplomatica per i meccanismi di divisione di potere anche in Bosnia e in Iraq ma con risultati pessimi. La vera domanda è: quanto questi accordi funzionano?  Non è possibile dare una risposta generalista. In Afghanistan Ghani e Abdullah erano i migliori candidati, si sono mossi nella direzione giusta nelle relazioni con il Pakistan. Superato il grande problema della composizione del governo, cercando le persone meno compromesse da reti di relazioni intrecciate con signori della guerra, fondamentalisti islamici, lo stato afghano ha necessariamente bisogno della stampella degli Stati Uniti per non sgretolarsi.
Il vero e unico problema, che ci ha mostrato Kunduz è la minaccia dei Talebani che oltre a costituire un pericolo per la sicurezza dello stato, affrontano una guerra con lo Stato Islamico per la leadership della jihad globale. Argomento questo che sarà oggetto del prossimo post. SEGUITEMI.

Settembre 27 2015

Attacchi aerei in Siria: ce ne accorgiamo solo ora?

Dopo 7,002 bombardamenti tra Siria e Iraq, l’opinione pubblica si accorge degli attacchi aerei e nessuno condanna una coalizione di bombaroli inutile e dannosa.

Questa notizia che viene rimbalzata ovunque come lo scoop del secolo, della Francia che ha iniziato attacchi aerei in Siria contro obiettivi riconducibili allo Stato Islamico o ISIS (nell’acrononimo più diffuso) mi fa veramente incazzare. Primo perché non si impara dalla storia, non basta l’emergenza umanitaria in Siria no, si deve ancora bombardare e le bombe non sono intelligenti e se lo fossero certo chi le sgancia non lo è affatto.

Secondo, una coalizione che conduce attacchi aerei (non da ieri) esiste già da un po’ e nessuno ne ha mai parlato.

La coalizione denominata: ” Operation Inherent Resolve” guidata dagli Stati Uniti contro l’ISIS, secondo dati diffusi dal ministero della difesa americano al 22 settembre 2015 ha condotto un totale di 7,002 attacchi aerei, BOMBARDAMENTI così divisi: Iraq = 4, 444; Siria= 2,558. Gli americani da soli hanno compiuto un totale di 5,461 attacchi in entrambi i paesi e specificatamente: 3,304 in Iraq e 2,427 in Siria.

La coalizione invece ne ha condotti: 1,541 di cui 1,410 in Iraq e 131 in Siria.

Sorprendiamoci ora per la composizione della coalizione:

In Iraq:  Australia, Canada, Danimarca, Francia, Giordania, Olanda e Gran Bretagna 

In Siria: Australia, Bahrain, Canada, Giordania, Arabia Saudita, Turchia e Emirati Arabi Uniti

Per chi ha la memoria corta la Francia è stato il primo paese ad unirsi alla coalizione a guida americana conducendo attacchi aerei su obiettivi riconducibili allo Stato Islamico (ISIS) in Iraq. La Francia, inoltre, ha fornito armi a quello che IL GOVERNO FRANCESE considera ribelli moderati che combattono il regime del presidente Assad. 

Il rationale degli americani per gli attacchi aerei in Siria è il seguente: “siccome forniamo supporto e addestramento alle forze siriane è sensato fornire anche una copertura aerea contro ogni attacco”.
Partendo dal presupposto che in Iraq la questione fu diversa perché ci fu il consenso del governo agli attacchi contro obiettivi dell’ ISIS, è veramente dubbia la legalità di questo genere di operazioni in Siria. Gli Stati Uniti tirano la coperta dell’autorizzazione all’uso della forza militare del 2001 che secondo loro li legittima ad attaccare lo Stato Islamico, ma seppure vogliamo tirare questa coperta si scoprono i piedi del diritto internazionale dove non trova giustificazione l’attacco armato in un paese violando peraltro la carta delle Nazioni Unite. Può darsi che a me sia sfuggita la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che autorizza l’uso della forza in Siria.

Ridicolo è poi l’attacco dell’ “occidente” alla Russia che in Siria pare abbia mandato i propri soldati in difesa di Assad. Certo è deprecabile la Russia che manda soldati e non chi bombarda. La tragedia di questi attacchi aerei è che non risolvono nulla. La situazione in Siria è questa: https://www.barbarafaccenda.it/siria-il-vostro-tavolo-da-gioco/ e l’idea che il nemico sia sempre e solo l’ISIS è  confezionata unicamente per mettere a tacere le proprie opinioni pubbliche. In nemico giurato ora sono loro, cosa importano i danni collaterali, cosa importa non trovare una soluzione, l’importante è annientarli. Radiamo al suolo tutto e diamo l’impressione ai nostri cittadini che noi stiamo facendo qualcosa di buono. Questo è in soldoni quello che pensa la Francia e tutti quelli che hanno aderito a questa folle coalizione. Bombardare la Libia con la scusa della responsabilità di proteggere fu un disastro e il risultato ce lo abbiamo sotto gli occhi, ma questo non basta perché fare una conferenza stampa e dire: abbiamo bombardato lo Stato Islamico rende potenti e tutti felici e contenti.

“Ottenere cento vittorie su cento battaglie non è il massimo dell’abilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il trionfo massimo”. Sun Tzu “l’arte della guerra”.

Giugno 4 2015

Il calcio e la politica internazionale

Ci si potrebbe chiedere: ma con tutto quello che ha da fare l’FBI possibile che si mette ad indagare sulla FIFA?. Gettare fango su un rito di milioni di persone, su quelli che prendono a parolacce la telefonista Premium perchè non attiva la carta per vedere una partita (la sottoscritta). La corruzione, sì, che storia trita e ritrita, dicono gli affezionati del bar e del caffè corretto fuori dallo stadio.  Ed allora proviamo a guardare la situazione da un punto di vista di politica internazionale.

L’ “affair” FIFA è come un microcosmo di più ampie tensioni che affliggono le istituzioni internazionali e ci offre una lezione magistrale, oserei dire, sui limiti da parte dei paesi occidentali di fare appello alla moralità e alle regole di legge per influenzare la pubblica opinione globale.

L’ex segretario generale delle Nazioni Unite dichiarò che la Coppa del Mondo FIFA è  uno dei pochi fenomeni universali pari alle Nazioni Unite (NU). Infatti le 209 associazioni nazionali di calcio che formano il congresso FIFA sembrano essere “sensibili” alla geopolitica così come i diplomatici che siedono nel Consiglio di Sicurezza e nell’Assemblea Generale.

Osservando l’ “affair FIFA” sembra di essere davanti all’ ultimo esempio di come gli Stati Uniti e i suoi alleati europei cerchino di tenere ben salda la presa su istituzioni internazionali malgrado le oscillazioni dell’equilibrio del potere globale. Il “caso Blatter” arriva in un momento in cui Washington e i suoi amici stanno diventando incredibilmente diretti nel voler stabilire le regole del gioco multilaterale. Washington è stata colta di sorpresa dalla decisione della Cina di lanciare la Banca asiatica d’investimento in infrastrutture, un possibile primo passo per sfidare gli organismi a guida americana come la Banca Mondiale. Parlando di un patto sul commercio nel Pacifico, Obama dichiara che bisogna essere sicuri che gli Stati Uniti, e non paesi come la Cina, siano tra coloro  che scrivono le regole del secolo per l’economia mondiale. Quindi dopo l’economia sembra che gli Stati Uniti vogliano scrivere le regole del calcio mondiale.

Il Congresso della FIFA prevede che ogni singolo membro abbia un singolo voto, di uguale valore rispetto a quello di qualsiasi altro membro. Dove gli Stati Uniti non esercitano nessun controllo diretto. Un altro esempio di un voto = un membro, nei consessi internazionali, è la Conferenza Generale dell’UNESCO.

Sebbene le decisioni dell’UNESCO interessano molti, ma molti meno di quelle della FIFA, Washington ha tagliato i fondi a quest’ organismo internazionale dopo che ammise la Palestina come membro nel 2011. L’amministrazione Obama ha sempre fatto del suo meglio (e continua a farlo) per trarre i propri vantaggi e crearsi legami nei forum delle NU come l’Assemblea Generale o il Consiglio dei Diritti Umani.

Questo scandalo sembra un tentativo di cortocircuitare il governo dell’organizzazione e se Washington e l’Europa non possono deporre Blatter attraverso delle procedure formali di governance perché non creare lo scandalo nel momento giusto? Le critiche americane alle NU guidarono Annan in un disonorevole e precoce pensionamento nel 2005 proprio per accuse di corruzione.

Mi sembra improbabile che gli Stati Uniti investano ingenti capitali politici per fomentare un vero e proprio ” coup d’etat” per uno sport che non è esattamente lo sport nazionale, anche se la sua squadra femminile se la cava gran bene.

Blatter potrebbe o no aver beneficiato direttamente o indirettamente di pratiche corrette nel corso degli anni, ma sicuramente ha beneficiato della sfiducia che oggi c’è attorno alle regole multilaterali e nelle istituzioni ed è questa l’altra grande lezione da trarre da questa storia. Che l’America Latina, qui dove il calcio scorre nelle vene di chiunque, sia la zona maggiormente colpita dallo scandalo e che sia accaduto al momento giusto nel posto giusto, questo è un altro ulteriore esempio di come si piloti l’equilibro globale. ” Cari amici del Brasile, del Paraguay, dell’Argentina, del Cile, gli affari si fanno se la smettete di dire che la corruzione è un modo di vivere. Firmato Barack Obama”. Ecco il messaggio veicolato attraverso quello che è lo sport più seguito in questi posti.

Noi, popolo dei tifosi del calcio, continueremo a seguire questo bellissimo sport credendo nella genuinità di quei bambini che giocano sentendo i propri genitori inveire contro l’arbitro. Lo seguiremo mangiando il gelato alla fine del primo tempo, perchè è un rito e se non si fa porta sfiga. Continueremo ad andare da Gianni il vinaiolo giallorosso e a salutarlo affettuosamente dopo che la sua squadra ha perso, non accettando lezioni di morale da paesi che finanziano gli estremisti.