Erdogan: l’asso piglia tutto. Chi perde è la democrazia.
Se avete applaudito al fallito coup in Turchia sappiate che chi ha perso è la democrazia.
Non c’è nessuna ragione per pensare che la democrazia in Turchia sia rafforzata perché il coup d’état è fallito. Erdogan ha risposto epurando tutti i suoi nemici, reali ed immaginari, e spingendo sull’acceleratore di nuovi poteri che porteranno la reputazione della Turchia indietro di secoli, così come la sua economia e la sua capacità di essere stato leader, costruttivo per la Regione.
Erdogan ha vinto la Turchia ha perso
Per qualche tempo le tensioni in Turchia si sono dipanate attorno ai piani ambizioni di Erdogan di espandere i poteri della presidenza. Le sue mosse sempre più crescenti ed insistenti di eliminare l’opposizione e di espandere la sua autorità hanno iniziato a preoccupare seriamente molti. Ci si chiede se la Turchia possa essere l’eccezione alla regola che dice che i paesi con una forte classe media non riescono a far regredire le dittature.
La Turchia ha fatto esperienza di quel tipo di sfide che forzano i leader a rafforzare la loro presa: multipli attacchi terroristici contro locali pubblici e turistici. Di nuovo in guerra con i curdi del PKK (Kurdistan Workers Party), i milioni di rifugiati siriani.
L’ascesa di un partito islamico come quello di Erdogan: Justice and Development Party (AKP) è stato un anatema per i militari che si vedono come il bastione del secolarismo e i guardiani della democrazia. Tuttavia Erdogan nel suo primo anno in carica ha efficacemente ri-bilanciato le relazioni civili – militari, facendo in modo che non avessero più desiderio di inserirsi di nuovo nella vita politica del paese.
Alcune curiosità sul coup
Questo coup non ricade nella dicotomia “secolare contro religioso” della moderna Turchia. Ci si sarebbe aspettati che i cospiratori del coup fossero particolarmente preoccupati dall’agenda islamica di Erdogan, ma non è stato questo non il caso. Sembra, piuttosto che abbiano agito perché il governo stava per purgare i militari e i supposti sostenitori di Fethulah Gulen, un influente religioso/uomo d’affari (vive negli Stati Uniti) che una volta era un alleato di Erdogan, ma adesso è considerato come un nemico dello Stato. Così questi militari hanno agito apparentemente per prevenire ogni mossa contro i “gulenisti”.
Erdogan è l’asso piglia tutto
I numeri di questa epurazione ci suggeriscono che il governo è stato a lungo impegnato a scrivere una lista dei suoi nemici per poterne tirare fuori una come questa:
– 3,000 giudici
– 8,000 ufficiali di polizia
– 3,500 soldati
– 120 generali e ammiragli
– 492 religiosi
– 257 funzionari nell’ufficio del Primo Ministro.
Un secondo aspetto ironico della vicenda è che sia i militari che i media turchi (spesso assediati) hanno aiutato a invertire il coup. I primi hanno aiutato Erdogan a scappare da un resort di vacanze solo pochi minuti prima che i carri armati bloccassero le strade e i media hanno permesso che il presidente diffondesse il suo messaggio di mobilitazione al pubblico attraverso i social media sulla televisione nazionale. Militari e media sono due istituzioni per cui Erdogan ha personalmente mostrato disdegno ed ha sempre cercato di diminuire la loro influenza.
Un’altro aspetto tristemente ironico è il grande costo economico di questa crisi. Il successo politico di Erdogan nella scorsa decade e mezza si è basato sulla sua promozione della Turchia come centro globale per il commercio ed il turismo; sulla responsabilizzazione di piccoli imprenditori che non erano parte dell’elite.
Le ferite che si è auto – inflitto per la sua ambizione presumibilmente porteranno dolori economici per lungo tempo a molti dei suoi sostenitori. Il settore turistico è già stato colpito da attacchi terroristici e dal boicottaggio russo, la nuova incertezza politica aggraverà il problema.
Alcuni dei suoi vicini non democratici preferirebbero un leader forte decisivo.
Ed ecco quindi che dopo le prime celebrazioni del coup fallito, maldestramente fatte anche dal Presidente del Consiglio italiano, si sostituiscono alla sensazione che la Turchia dovrà combattere per riottenere il suo equilibro democratico.