Il populismo è pericoloso: vi spiego il perché
La minaccia populista è reale e seria: perché?
Molte ricerche indicano che la democrazia si indebolisce se si affida alla leadership di un singolo individuo, opposto alle istituzioni democratiche; se la contesa è guidata dalla personalità, piuttosto che da partiti politici strutturati; e se gli elettori non hanno accesso ad informazioni affidabili attraverso media indipendenti.
Quanto la minaccia populista sia reale lo dimostra l’elezione americana di un Presidente che promuove proprio il messaggio populista: “da solo posso cambiare il paese, l’establishment e le elite tradizionali sono pericolose e corrotte, i media tradizionali non sono degni di fiducia“.
In tutta Europa, dove il governo democratico è la norma e lo è stato per decadi, candidati populisti e partiti sono saltati al potere negli anni recenti, facendo crescere i timori di scivoloni autoritari.
Partiti populisti di destra e di sinistra ora governano parlamenti in Grecia, Ungheria, Polonia, Slovacchia e Svizzera e sono parte di coalizioni di governo in Finlandia, Norvegia e Lituania.
In Francia, Germania ed Olanda i partiti di estrema destra promuovono una retorica xenofoba, dominando stagioni di campagne elettorali con un’oratoria impetuosa che rivendica la salvezza dell’identità nazionale.
Sebbene negli anni recenti le democrazie europee si siano rivelate, per la maggior parte, resilienti alla minaccia posta dal populismo, in pochi paesi, come l’Ungheria e l’Olanda, sono state elette figure populiste, dando il via al significativo declino, in rapporto ai principi democratici, della libertà di stampa dell’indipendenza del potere giudiziario.
La sfida che il populismo pone alla democrazia è forse la più incalzante nel mondo in via di sviluppo, data la breve storia di governo democratico rispetto alle democrazie occidentali.
Nelle Filippine, il presidente Rodrigo Duterte ha vinto elezioni libere ed eque attraverso una piattaforma populista nel 2016, suggerendo addirittura, durante la sua campagna elettorale, che in caso di vittoria avrebbe abolito il Congresso. Da quando è entrato in carica, i diritti umani nelle Filippine si sono deteriorati rapidamente, attraverso un’ampia repressione sulle droghe, aggressiva e brutale, uccidendo centinaia di civili ricevendo la condanna della comunità internazionale; il paese è adesso uno dei posti più pericolosi per i giornalisti. Agli occhi di molti, dopo sei anni di un presidente orientato alle riforme, le Filippine sono sull’orlo di una transizione verso la dittatura.
Le cosiddette “autoritarizzazioni” – transizioni alla dittatura dove leader democraticamente eletti smantellano le istituzioni democratiche per prendere il potere -, stanno diventando la modalità dominante del collasso democratico, con le piattaforme populiste che fungono da vero e proprio trampolino per manipolare l’autorità che ha vinto democraticamente.
Questa tendenza globale sta facendo crescere la più pericolosa delle forme di governo autoritario: la dittatura personalistica, in cui il potere è altamente concentrato nelle mani di un solo uomo forte, il quale disdegna le istituzioni pre-esistenti.
Come si sgretolano le democrazie
La deriva verso l’autoritarismo è un fenomeno nuovo che differisce da quello del ventunesimo secolo.
Cile
Il Cile è un utile caso di studio. Nel settembre del 1973, con l’aiuto degli Stati Uniti, le truppe cilene hanno preparato un colpo di stato contro l’allora presidente Salvador Allende, che era salito al potere nelle elezioni democratiche del 1970. Il coup ha portato il Generale Agosto Pinochet e la sua giunta militare al potere, per un lungo periodo di governo militare, durato fino al 1989. Il coup militare era lo strumento dominante di scelta per far cadere le democrazie e compiere una transizione repentina al governo autocratico.
Venezuela
In contrasto con la recente esperienza in Venezuela, un altro paese in America Latina con una lunga tradizione di governo democratico. Hugo Chavez si è assicurato la presidenza nel 1999, dopo aver vinto l’elezione democratica l’anno precedente. Sebbene Chavez abbia iniziato riforme controverse, ha vinto elezioni libere ed eque nel 2000 ed il Venezuela è rimasto una democrazia, sebbene imperfetta, negli anni che seguirono.
Tra l’agosto del 2004 e il dicembre 2005, tuttavia, Chavez ha lentamente spinto il Venezuela verso l’inizio della dittatura. Nell’agosto del 2004, quando l’opposizione aveva raccolto sufficienti firme per indire un referendum, Chavez vince il voto, di cui gli osservatori internazionali avevano garantito la libertà ed equità. Da qui in poi Chavez consolida il suo potere, il parlamento passa una legislazione che aumenta la portata della Corte Suprema e permette il licenziamento dei giudici attraverso un voto a maggioranza. Per la fine del 2004, i fedelissimi di Chavez controllavano pienamente la Corte Suprema e i giudici che gli si opponevano nelle corti erano velocemente sostituiti dagli alleati del regime. In più, il governo pubblicò una lista di decine di migliaia di individui che avevano firmato per petizioni che furono licenziati dagli impieghi pubblici e altri lavori e persero l’accesso ai benefit dell’assistenza pubblica.
Anche i media furono investiti da leggi limitanti. Il governo quindi lanciò una campagna per intimidire gli anti rivoluzionari e continuò nella sua marcia di consolidamento del potere, dando vita ad un periodo di “uomo forte al comando” che continua ancora oggi. Il Venezuela sta scivolando in un caos profondo sia economico che sociale.
L’esperienza del Venezuela è indicativa del modo in cui le dittature contemporanee prendono il controllo.
I dati
Dal 1946 al 1999, il 64% delle democrazie sono cadute attraverso i coup.
Dal 2000 al 2010, le “autoritarizzazioni” sono aumentate drammaticamente, rappresentando il 40% di tutte le fratture alle democrazie.
Le “autoritarizzazioni” occorse negli anni passati in paesi come il Bangladesh e la Turchia, ci indicano come questa tendenza stia proseguendo.
È in corso uno spostamento dalla democrazia alla dittatura in cui l’ “autoritarizzazione” è la modalità dominante per rendere fattivo questo passaggio.
Le “autoritarizzazioni”
Le “autoritarizzazioni” sono differenti dalla maggior parte delle altre forme di rottura della democrazia, come i coup, le rivolte o le invasioni straniere, perché la loro presa del potere è compiuta dall’interno dell’apparato statale. I governi fanno leva per accedere agli strumenti di potere per consolidare il controllo e reprimere il dissenso. In confronto ai coup, che richiedono un’attenta pianificazione e coordinamento, sono meno rischiosi. Le “autoritarizzazioni” sono relativamente facili da eliminare. Esse tipicamente coinvolgono una serie di cambiamenti nelle regole e nel personale che crea un ambiente politico in cui gruppi di opposizione non possono più competere efficacemente.
Diversamente dalle altre modalità che decretano la fine di una democrazia, le “autoritarizzazioni” non si accompagnano ad un cambiamento nella leadership dopo la transizione alla dittatura. Questo è importante perché la maggior parte delle prese al potere autocratiche sono motivate dal desiderio di reindirizzare le risorse dal precedente gruppo al potere verso il suo successore. Con le “autoritarizzazioni”, i potenziali dittatori spesso compiono sforzi per proteggere gli interessi entranti e attaccano ogni mossa che possa sottrarre a loro stessi le risorse.
Le “autoritaritarizzazioni” contengono in sé strategie sottili e multi ramificate, come la sequenza di eventi accaduti con Chavez in Venezuela. Le “autoritarizzazioni” perciò differiscono dalla maggior parte delle modalità di rotture della democrazia perché sono spesso lente e incrementali.
Il populismo ora viene utilizzato come trampolino di lancio per questo tipo di sforzi.
Il percorso populista
La retorica populista tipicamente batte su alcuni punti: la necessità di una forte e decisiva leadership, l’incapacità delle istituzioni stabilite e delle politiche di affrontare i problemi del paese e la mancanza di fiducia nelle istituzioni e spesso, accuse di corruzione contro esperti e élite.
Il messaggio generale oggi non è differente rispetto a decadi passate quando il populismo prendeva piede in molte parti dell’America Latina e dell’Europa, spesso con conseguenze dannose e destabilizzanti.
Allo stesso tempo, le strategie dei populisti di oggi sono cambiate in modi importanti. Il loro metodo di consolidare il potere non è più repentino caratterizzato da una chiara rottura della democrazia, che potrebbe incitare la condanna interna ed estera, ma piuttosto si esplica in una sottile frantumazione delle istituzioni democratiche. Questo metodo è stato preferito nel clima politico post Guerra Fredda non solo perché l’Occidente spesso ricompensa gli avvocati della liberalizzazione politica e punisce i paesi che fanno esperienza di coup, ma anche perché la crescente accettazione del modello liberale democratico tra i cittadini nel mondo ha esercitato una pressione sui governi affinché mantengano la facciata della democrazia per non correre il rischio di perdere la loro legittimità.
Prendiamo ad esempio la salita al potere di forti uomini come Chavez, Putin, Erdogan. Questi leader sono entrati in carica attraverso elezioni relativamente libere ed eque, ma una volta lì, hanno fatto leva sul generale malcontento popolare per minare lentamente i limiti istituzionali ai loro poteri, indebolire l’opposizione al loro governo e marginalizzare e frantumare la società civile.
Il “libretto populista”
Questo tipo di leader hanno in un comune qualcosa che potremmo definire “libretto populista”: mettere i fedelissimi e gli alleati in alte posizioni nel governo, particolarmente nel potere giudiziario e nei servizi di sicurezza, censurare o prendere il controllo dei media tradizionali e arrestare selettivamente i giornalisti critici; utilizzare cause legali e nuova legislazione per mettere ai margini la società civile e gli oppositori del loro governo.
Oggi, le “autoritarizzazioni” alimentate dal populismo stanno dando vita alla più pericolosa forma di dittatura: il governo personalistico.
Uno dei principi centrali della strada populista è il bisogno di una leadership forte in un ambiente politico dove le istituzioni sono percepite come inette e incapaci di gestire i problemi pressanti. Tra i populisti di oggi, il tema di un uomo forte sottolinea questo tipo di campagne. Per questa ragione, quando il governo populista inizia a realizzare le sue visioni, i leader consolidano il controllo nell’esecutivo; nel caso di Trump, ad esempio, il Dipartimento di Stato, tradizionalmente influente, è stato apparentemente spinto ai margini dell’attività decisionale.
I dati
I dati indicano che le “autoritarizzazioni” alimentate dal populismo sono sempre più propulsive del potere personalistico dei dittatori. Appena meno del 44% delle “autoritarizzazioni” dal 1946 al 1999 hanno dato vita al governo personalistico, ma questa porzione è aumentata del 75% nel periodo dal 2000 al 2010. Una crescita drammatica.
Anche laddove gli uomini forti populisti non hanno smantellato pienamente i sistemi democratici, essi frequentemente godono di un irregolare potere politico, come nel Nicaragua di Daniel Ortega, o nell’Ecuador di Rafael Correa o ancora nell’Ugheria di Viktor Orban e nella Polonia di Jaroslaw Kaczynski.
Questa tendenza è preoccupante in ragione delle conseguenze dannose del governo personalistico. Una grande parte della letteratura in scienza politica suggerisce che la dittatura personalista è il tipo più problematico di autocrazia. Questa tipologia di dittatura presumibilmente è quella che maggiormente persegue una politica estera aggressiva ed imprevedibile; che inizia conflitti interstatali ed investe in armi nucleari. Alcuni esempi eccellenti: Saddam Hussein in Iraq, Idi Amin in Uganda e la famiglia Kim nel Nord Corea. I dittatori personalisti spesso danno voce a sentimenti di xenofobia e sono quelli che molto più probabilmente non gestiscono bene l’aiuto estero.
Perché candidati e partiti populisti godono del sostegno pubblico?
Le condizioni che costituiscono la base del supporto pubblico di cui godono candidati e partiti populisti sono diverse, ne citiamo alcune, le più importanti:
- le crescenti ineguaglianze economiche,
- la percezione di prestazioni economiche non adeguate,
- le frustrazioni derivanti dalla globalizzazione,
- l’immigrazione e l’afflusso di rifugiati che è cresciuto a seguito della instabilità del Medio Oriente e dell’Africa,
- la convinzione che la politica tradizionale sia corrotta ed inetta.
Chi è più a rischio?
Una lunga storia di governo democratico ininterrotto, unitamente ad alti livelli di sviluppo economico si associano con un rischio più basso di deriva verso la dittatura. Come risultato, le democrazie nel mondo sviluppato, come gli Stati Uniti e gli Stati in Europa, con più probabilità emergeranno dall’ondata populista più fragili, ma intatti. La loro linea base di rischio di passare alla dittatura è più basso rispetto ai paesi in via di sviluppo. Tuttavia la loro deriva economica non è trascurabile.
Gli autocrati di domani possono utilizzare eventi di crisi per iniziare un’estesa repressione sugli oppositori, semplicemente giustificando queste azioni nell’interesse della sicurezza nazionale.
Una crisi, che sia interna o internazionale, potrebbe facilmente essere teatro di un danno o di uno smantellamento della democrazia da parte di governi populisti.
Non si deve guardare molto lontano: la Turchia
Erdogan, che è diventato presidente nel 2014 ed era stato primo ministro per più di una decade, aveva già iniziato sottili manovre per consolidare il controllo, inclusa la pressione per una presidenza più forte, giro di vite sui media ed utilizzo improprio delle risorse dello Stato a suo beneficio. Dopo il fallito coup del luglio 2016, ha colto l’opportunità di scagliarsi con più risolutezza contro i suoi oppositori. Dichiara immediatamente lo stato di emergenza, per rimuovere tutti gli elementi di organizzazioni terroristiche che erano coinvolte nel tentativo di coup. Nelle settimane successive, decine di centinaia di turchi sospettati di aver partecipato al coup vengono arrestati. Migliaia di ufficiali governativi licenziati, radio, televisioni: chiusi; per la fine del 2016, si stima che siano state arrestate 37,000 persone e 100,000 hanno perso il loro lavoro o sono state sospese dal lavoro. Un fatto sconvolgente! Ad aprile, i turchi dovranno votare si o no ad un pacchetto di riforme costituzionali che creerebbero una presidenza esecutiva istituzionalizzando la presa del potere di Erdogan che ha accumulato nel corso del suo governo.
Come ci illustra l’esempio della Turchia, gli autocrati di domani possono utilizzare eventi di crisi per iniziare la loro estesa repressione sugli oppositori, semplicemente giustificandosi di agire nell’interesse della sicurezza nazionale. Se queste crisi dovessero verificarsi nelle democrazie guidate dai populisti, è possibile che eventi simili accadano.
Il populismo: una sfida seria
Il mondo ha fatto esperienza di un’ondata di movimenti populisti che hanno ottenuto consensi negli anni recenti, in contesti politici che vanno dalle Filippine alla Polonia. Queste circostanze precise suggeriscono ai sostenitori della democrazia globale di prenderne nota.
Le situazioni di paesi come la Turchia ed il Venezuela ci mostrano come le campagne populiste in democrazie di lungo corso possano essere utilizzare per l’“autoritarizzazione” e l’erosione delle norme e delle istituzioni democratiche. Ci indicano anche come questo tipo di processi portano al governo di un solo uomo forte, la più pericolosa forma di governo autoritario.
Sarebbe utile quindi che si prenda coscienza che la sfida del populismo è seria!