L’Africa tra due fuochi: il potere a vita e i regimi militari
L’Africa è una terra stretta tra due fuochi: uno è quello del potere a vita che detengono i Presidenti e i funzionari pubblici, l’altro è quello rappresentato dai regimi militari al potere in molti Paesi dell’Africa.
Per quale motivo in molti Paesi dell’Africa il potere resta nelle mani di pochi a vita?
Un primo tentativo di risposta potrebbe essere che mantenere il prestigio è una delle principali ragioni per cui i funzionari pubblici si aggrappano al potere. Tuttavia, la questione è molto più profonda di ciò.
Non è possibile comprendere pienamente l’ossessione di restare il potere senza analizzare innanzitutto la natura della politica in molti Paesi del continente africano.
Diverse economie nella Regione sono caratterizzate da amministrazioni dello Stato stracolme, un settore privato inefficiente e un ampio settore informale. In molte ex colonie francesi, i cittadini si sono trovati a fare i conti con un incremento del costo della vita fin dalla svalutazione del franco CFA nel 1994.
Con l’eccezione del Senegal, Benin e fino a poco tempo fa del Mali e della Costa d’Avorio, gli “esperimenti di democrazia” in questi Paesi sono falliti miseramente.
Gli Stati africani non solo sono incapaci di combattere la corruzione in maniera efficace, ma i loro leader sembrano avere una mancanza di volontà politica nel creare le condizioni per la crescita di un settore privato attivo, uno strumento essenziale per la creazione di lavoro e di benessere.
L’amministrazione pubblica è inadeguata, l’impiego privato e le opportunità di investimento sono estremamente limitati.
Coloro che hanno ricevuto un’istruzione superiore, in molti Paesi africani, sfruttano i giochi della politica per trarne vantaggio personale. I giovani disoccupati nella Repubblica Democratica del Congo e della vicina Repubblica del Congo, finiscono per offrire i loro servizi – incluso lo spionaggio, il reclutamento di gang e la sollevazione popolare – a politici benestanti in cambio di denaro contante.
Molti partiti politici difficilmente possono essere considerati partiti, ma piuttosto organizzazioni di un solo uomo con nessuna reale base popolare. Quando non sono creati con l’aiuto di partiti stabiliti, essi sono di solito lanciati da uomini calcolatori la cui principale ambizione è la loro stessa prosperità finanziaria. Questi aspiranti politici hanno imparato come sfruttare il panorama politico, specialmente attraverso i mezzi di comunicazione. Appaiono spesso in talk show, dove rilasciano dichiarazioni alternativamente in favore o contro il governo – qualsiasi posizione che spinga in avanti la loro posizione. L’idea è quella di fare tanto rumore sufficiente ad essere notati, nella speranza di assicurarsi una posizione nel governo, o almeno un supporto finanziario per essere eletti a livello locale o nazionale. Come risultato questi politici con più probabilità oppongono resistenza al cambiamento politico per via dei loro interessi finanziari. Quindi lavorano duramente affinché venga preservato lo status quo, dal momento che è quasi impossibile per loro vivere al di fuori della politica.
La politica lucrativa, unitamente all’inabilità di molti Paesi nell’Africa centrale e occidentale dipendenti dalle risorse a diversificare la loro economia, hanno creato un ambiente perfetto per la corruzione.
Di 167 Paesi, la RDC e la Repubblica del Congo sono classificare 147° e 146°, rispettivamente, nell’indice di Trasparency International del 2015.
L’incontrollato accesso ai fondi pubblici ha incoraggiato funzionari pubblici corrotti a condurre stili di vita insostenibili e stravaganti. Tuttavia, dal momento che i loro beni acquisiti illegalmente non sono produttivi, si trovano rapidamente senza soldi una volta decaduti dal loro incarico. Per cui è nel loro interesse aggrapparsi alle loro posizioni politiche redditizie con ogni mezzo necessario.
Nell’assenza di una vigilanza efficace e di meccanismi di responsabilità, molti funzioni pubblici di alto livello sono indotti a credere che fin tanto che essi restano al potere non verranno perseguiti. Questo è particolarmente vero per Paesi in cui sono consolidati i sistemi clientelari, come i due Congo, dove le nomine di posizioni di livello più elevato, incluso le autorità giudiziarie ed elettive, sono molto spesso basate sui servizi resi che sull’esperienza professionale. All’apice di questo sistema c’è il Presidente, che si sente in debito con coloro che l’hanno aiutato a prendere il potere. In queste condizioni, è incredibilmente difficile rimuovere o perseguire funzionari di governo corrotti e incompetenti. Così non è insolito che funzionari pubblici di alto livello commettano gravi crimini durante il loro mandato, malgrado siano pienamente coscienti che probabilmente sarebbero perseguiti una volta che decadranno dal loro mandato. Tuttavia, anche se finiscono per guadagnare qualche grado di immunità mentre sono in carica, rimangono un obiettivo per la giustizia vigilante dei cittadini ordinari, che sono stati a lungo perseguiti. Ciò spiega perché molti ex funzionari dell’Africa Centrale e Occidentale scelgono di vivere in esilio.
Date queste condizioni economiche e strutturali lo stile del “vincitore prende tutto” in politica è diventata un’alternativa fattibile per i politici disperati. Ma la soluzione va oltre il dialogo tra governi e partiti di opposizione sostenuti da inviti internazionali a rispettare la regola di legge.
Migliorare il clima finanziario per investitori locali e stranieri aiuterebbe il settore privato in molti Paesi dell’Africa centrale ed occidentale ed offrirebbe ai cittadini più opportunità economiche al di fuori della politica. I governi dovrebbero anche considerare di offrire dei benefici più grandi per il pensionamento di funzionari pubblici, specialmente per coloro che sono stati in carica per un esteso periodo di tempo, che potrebbe scoraggiare la continua frode dei fondi pubblici.
Il potenziamento di misure di sicurezza per gli ex funzionari pubblici potrebbe incoraggiare i funzionari di oggi a lasciare le loro posizioni senza paura di rappresaglie.
Infine, sforzi devono essere compiuti per ricomporre le tensioni tra le parti in guerra: la creazione di commissioni per la riconciliazione per la gestire dei conflitti, la formazione di governi di unità nazionale e l’emanazione di disposizioni legislative volte a regolamentare la condivisione del potere equa in tutte le più importanti istituzioni statali. Nel lungo periodo, è quasi impossibile raggiungere trasferimenti di potere democratici senza una riconciliazione politica concreta.
Il potere in mano ai regimi militari
È quasi indiscutibile che l’Africa fosse un continente di coup, dove i colpi di Stato militari erano il principale meccanismo di cambiamento di regime. I dati raccontano la loro storia, con oltre 200 coup e tentativi di colpo di Stato per l’indipendenza di molti Paesi nei primi anni 1960 e 2012. La narrativa post-indipendenza diventa stancamente familiare, con periodi di governo civile interrotti da prese di potere da parte dei militari.
Tuttavia c’è stato un cambiamento percettibile dagli anni 1990 in poi come risultato dell’ondata democratica che ha investito l’Africa a seguito della fine della Guerra Fredda. Sebbene fragile, incompleta e imperfetta, questa ondata ha prodotto una intolleranza popolare sia per i colpi di Stato che per i regimi militari esistenti. Ciò è stato rafforzato da due ulteriori fattori: una nuova ortodossia internazionale che caldeggiava per la democrazia liberale come nuova regola di governance e una robusta opposizione ai colpi di Stato da parte di varie organizzazioni africane inter-governative. Questa opposizione è diventata prima evidente nell’Organizzazione di Unità Africana, e poi si è sviluppata più robustamente nel suo successore: l’Unione Africana (UA) dal 2002. L’UA ha adottato la posizione per nulla ambigua che ogni regime che raggiungesse il potere attraverso un coup militare sarebbe stato immediatamente sospeso da membro dell’Unione. Questo è stato rafforzato dalle posizioni di varie organizzazioni sub-regionali guidate da ECOWAS, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale e dalla SADC la Comunità di sviluppo dell’Africa del Sud.
Sebbene i coup, nella politica africana, non siano stati ancora consegnati alla storia , come è evidente dalle prese di potere da parte dei militari in Mauritania, Guinea e Guinea – Bissau nel 2008, in Niger nel 2010 e in Mali nel 2012; un declino complessivo dei coup non ha significato esattamente una perdita d’influenza dei militari nel continente, dal momento che molti eserciti mantengono il potere in varie forme. La fragilità statuale, il conflitto intra-statale o il potenziale per il conflitto continuano ad assicurare ai militari un ruolo di alto profilo in molti Stati africani dove spesso i nuovi meccanismi e gli apparati statali sono stati creati per fare spazio all’influenza militare.
Infatti in Stati segnati dai conflitti, non è inconsueto che ai militari sia accordato un effettivo sebbene informale veto politico su temi come la strategia militare, i budget di difesa, i colloqui di pace con i ribelli e alleanze estere. In alcuni Stati come il Lesotho e il Sud Africa, ciò assomiglia ad una sorta di “democrazia di caserma”. L’influenza dei militari continua ad essere pervasiva e coercitiva, dal momento che sorveglia e appone pressioni sul processo politico, creando una costante minaccia di intervento militare qualora le proprie necessità non vengano soddisfatte.
L’assistenza militare americana è stata proporzionale alla crescita del potere e dell’influenza dei militari in Africa
Gli eserciti africani hanno visto la loro influenza ed il loro potere crescere con un’assistenza militare americana sempre più importante, come parte della “guerra globale al terrore” dopo l’11 settembre, coordinata dal comando americano per l’Africa AFRICOM. Sebbene l’assistenza americana può rafforzare la capacità di questi eserciti di intercettare e sgominare le reti terroriste, è una lama a doppio taglio, dal momento che essa rischia di spingere la loro capacità politica mettendosi contro il loro stesso governo e la popolazione. Il fatto che l’aiuto militare americano spesso ha molto più peso rispetto all’assistenza politica o di altro genere invia il messaggio che l’esercito è il principale agente di potere in molti Paesi.
Sebbene Paesi con una lunga storia di interventi militari stanno ora compiendo dei solidi progressi democratici – in particolare il Ghana, ma anche la Nigeria, il Benin, il Burkina Faso e la Guinea Bissau, c’è ancora motivo di preoccuparsi visto che i loro eserciti restano gli attori più potenti. Inoltre, i conflitti in atto in Stati come il Mali, il Sudan, il Sud Sudan aumentano lo spettro dell’intervento militare, particolarmente se le gerarchie militari sono persuasi che i fallimenti del governo civile siano la causa delle battute d’arresto sul campo di battaglia o delle perdite.
In Stati come il Sudan o il Gambia sono diventati la scenografia di regimi quasi-militari dove governi civili solo nominalmente, sono stati massicciamente popolati con – e spesso guidati da – ex personaggi militari. Questi “soldati in doppio petto” possono aver formalmente rassegnato le loro dimissioni come militari, ma mantengono dei legami stretti con i militari.
Non sorprende quindi che le linee tra le forme di governo civili e militari siano sempre più sfumate. Potrebbero non esserci dei regimi militari nel senso convenzionale, ma ci sono dei governi profondamente militarizzati che con più probabilità cercano di restringere lo spazio politico disponibile all’opposizione e alla società civile. I loro leader sono cresciuti con una cultura militare dall’alto verso il basso, radicata nell’ordine e nell’obbedienza piuttosto che nel dibattito, nella libertà di parola, dissenso e partecipazione pubblica che sono la linfa della democrazia liberale.
Infine, c’è il regime ibrido – formalmente civile, ma il partito al governo e la leadership militare si fondono e spesso impiegano le forze di sicurezza contro i loro oppositori.
Lo Zimbabwe è l’esempio più chiaro, dove il cosidetto Comando delle operazioni congiunte ha effettivamente guidato il Paese fin dal 2008. Costitutito da figure di altro livello del ZANU- PF (Unione Nazionale Africana di Zimbabwe – Fronte Patriottico), così come da elementi dell’esercito, delle agenzie di polizia. Il Comando ha bypassato il Parlamento dello Zimbabwe e sovvertito l’esito delle consultazioni elettorali rifiutandosi di abbandonare il potere.
La facciata esterna civile è un’illusione indispensabile, progettata per celare la realtà sottostante dove una élite politico-militare che non rende conto a nessuno ha stabilito se stessa come il centro nevralgico del governo.
Non esistono rimedi immediati per aiutare le forze democratiche in Africa per vincere queste nuove manifestazioni di potere militare. Invece la soluzione deve essere ricercata nelle riforme economiche e politiche di lungo termine, nella buona governance e nel promuovere le materie prime della democrazie. Queste ultime includono forti istituzioni per aiutare a costruire una cultura di costituzionalismo e ad assicurare la trasparenza e l’obbligo di rispondere per le azioni compiute. Una crescita inclusiva, uno sviluppo economico condiviso e l’aumento delle opportunità educative sono tutte condizioni necessarie; così come coltivare una classe media. Una sfida più ampia, ma vitale, è lo sviluppo di una vivace società civile che può aiutare a riallineare le relazioni civili-militari e consolidare concetti come la subordinazione dell’esercito all’autorità civile e la non-interferenza nella politica.
In società pluraliste complesse, con molti spazi di potere e autorità, il prospetto di colpi di Stato militari diventa sempre più remoto. Se si verifica un tentativo di coup, essi si rivelano fondamentalmente insostenibili, dal momento che essi sono tipicamente un sintomo di una cultura politica arretrata o repressa. Tuttavia i vai tipi di regimi militarizzati che resistono in Africa combatteranno duramente contro questi cambiamenti, dal momento che una robusta infrastruttura democratica pone una minaccia esistenziale al loro potere. L’autocrazia nelle sue varie forme cercherà di resistere, contenere e, dove possibile, capovolgere gli avanzamenti democratici. Questa battaglia con tutta probabilità diventerà una caratteristica distintiva della lotta continua per la democrazia in Africa, che è ancora in corso anche se il bilancio di potere si sta spostando gradualmente, sebbene non ancora in maniera irreversibile, in favore delle forze democratiche.