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La politica estera di Trump non è una novità.

Trump fa appello alla nostalgia di un passato immaginario, quando l’America governava ed il mondo la seguiva, e suggerisce che adottando un approccio più commerciale alle alleanze internazionali, gli Stati Uniti torneranno alla loro posizione passata di dominio. L’argomentazione ignora i modi in cui le alleanze globali americane, incluso alle volte le sue sproporzionate obbligazioni di sicurezza, servono fondamentalmente come forza moltiplicatrice per il potere americano e la sua influenza.

Non tiene conto degli spostamenti strutturali nell’economia globale e nel potere politico che hanno diminuito la capacità americana di raggiungere i risultati desiderati. Gli stessi spostamenti strutturali hanno contribuito all’emergere della Cina come una forza regionale e in divenire globale.

Probabilmente il miglior modo di anticipare le azioni future di Trump è di riconoscere che egli è un ritorno al passato. Più precisamente, la sua politica estera fa riferimento ad un’era passata, una che sembra che lui voglia rendere rilevante, anche grande, again! In altre parole, per comprendere Trump si deve riconoscere che vuole portare la politica estera del 19 secolo nel 21 secolo.

È stato esplicito nella sua ammirazione per William McKinley Presidente dal 1897 al 1901. Durante il suo primo mandato, molti lo hanno paragonato ad Andrew Jackson, il Presidente degli Stati Uniti noto per essere un outsider, ma anche per le sue forti politiche di pulizia etnica verso i Nativi Americani. Trump sembra abbracciare questo paragone, con il ritratto di Jackson che è appeso nell’ufficio ovale.

Andrew Jackson

In realtà anche prima di essere eletto nel 2016, alcuni osservatori hanno indicato che la visione del mondo di Trump sembrava essere più quella del tardo diciannovesimo secolo, primi anni del ventesimo secolo.

In nucleo centrale della politica estera americana del diciannovesimo secolo era quello di vedere gli Stati Uniti come privi di interessi e obblighi globali. Per contrasto lo storico Gorden Levin scrive che la politica estera americana durante molto del ventesimo secolo era ampiamente guidata dalle reazioni alla Prima Guerra Mondiale e dalla rivoluzione bolscevica in Russia, che egli etichetta cosi: «due eventi determinanti delle cui conseguenze senza fine gli Stati Uniti, nelle loro relazioni estere, se ne sono dovuti occupare fin da allora ».

Provo a dirlo diversamente: la politica estera americana nel ventesimo secolo era basata sulla prevenzione di un’altra massiccia guerra tra grandi potenze così come nel limitare l’influenza di ogni visione del mondo che minacciasse la portata globale del potere economico degli Stati Uniti. Non era isolazionista, ma neanche internazionalista.

La politica estera degli Stati Uniti del diciannovesimo secolo non deve essere confusa con ciò che qualcuno chiama  la visione di “moderazione” (restraint) della politica estera americana, vale a dire che gli Stati Uniti dovrebbero ritirarsi dal servire come una forza di polizia globale e permettere ad altre nazioni di prendere la conduzione delle loro rispettive regioni.

Per comprendere come e perché consideriamo ancora l’ammirazione di Trump per McKinley.

William McKinley

McKinley ha avuto una presidenza impegnata e degna di nota. Ha spinto per l’imposizione dei dazi quando era un membro del Congresso, è ha continuato ad utilizzarlo come strumento politico da Presidente.

Ha acquisito nuovi territori per gli Stati Uniti attraverso quello che lui chiamò splendid little war con la Spagna.

Ha corso per la carica di Presidente con la promessa  di assicurare “prestigio all’estero” e “prosperità a casa” mantenendo gli Stati Uniti su uno standard d’oro.

Quando Trump afferma che l’America dovrebbe essere “grande”, include essere una grande potenza. Ma Trump pensa che gli Stati Uniti debbano essere una grande potenza nel senso che il termine aveva nel diciannovesimo secolo.

Le preferenze di Trump echeggiano tutte quelle caratteristiche della politica estera di McKinley. Condivide le aspirazioni imperialistiche di McKinley nell’emisfero occidentale, avendo affermato il desiderio di prendere il controllo della zona del canale di Panama ed acquisire la Groenlandia. Ci sono delle ragioni per il controllo di questi territori legati a ragioni di sicurezza nazionale e alla salvaguardia di linee marittime centrali. Trump non è il primo Presidente a prendere in considerazione l’acquisizione della Groenlandia

Trump, similmente ha espresso preferenza per dazi su tutta la linea non solo come strumento economico di governo, ma anche come una fonte di guadagno per il governo. Il fascino delle tariffe riflette la sua confusione sull’economia americana di oggi rispetto a quella del tardo diciannovesimo secolo e, anche più direttamente, dei bisogni fiscali del governo americano di oggi rispetto al governo molto più piccolo del tempo .

McKinley era chiaramente nazionalista, ma non isolazionista. Egli credeva nel potere degli Stati Uniti e a questo fine sovrintendeva una espansione della capacità navale degli Stati Uniti dopo anni di declino. Durante la sua amministrazione gli Stati Uniti hanno iniziato ad ottenere lo status di maggiore potenza. McKinley definisce la politica di “open door” in relazione alle esportazioni degli Stati Uniti verso la Cina. In questo processo, completa anche l’annessione delle Hawaii agli Stati Uniti per sostenere il ruolo espansionisto della marina americana nell’Oceano Pacifico, si è unito all’intervento delle Potenze europee nella Boxer Rebellion e ha iniziato la creazione del canale di Panama. Mentre McKinley voleva che gli Stati Uniti mantenessero una porta aperta, voleva anche che il Paese fosse una terra libera. Nel suo discorso inaugurale dice:

 We have cherished the policy of non-interference with affairs of foreign governments wisely inaugurated by Washington, keeping ourselves free from entanglement, either as allies or foes, content to leave undisturbed with them the settlement of their own domestic concerns.

Trump pensa che gli Stati Uniti debbano essere una grande potenza nel senso che il termine aveva nel diciannovesimo secolo. Questo significa che gli Stati Uniti dovrebbero riempire il ruolo su basi di “quando è necessario” (as needed). Preferisce accordi flessibili ad hoc a istituzioni permanenti. Meglio abbandonare un accordo piuttosto che rinegoziarlo se le circostanze cambiano tanto da farlo sentire intrappolato in un impegno di lungo termine. Non vuole che gli Stati Uniti non si impegnano nel mondo, piuttosto che gli Stati Uniti siano fuori dall’affare di plasmare e proteggere il mondo. E questa visione del ruolo degli Stati Uniti che è familiare non solo con quella di McKinley, ma con molti altri presidenti del diciannovesimo secolo.

Se finora i leader stranieri hanno teso a dare a Trump ciò che disperatamente vuole: complimenti, manifestazione di rispetto, potrebbe essere presto il caso – nel loro interesse- iniziare a impedirgli di dare seguito alle sue “minacce”, per dimostrare che il suo piano di far tornare gli Stati Uniti al dominio globale è basato su una logica obsoleta e difettosa.

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Pubblicato inpolitica internazionaleStati Uniti

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