Stati Uniti e Iraq: ora non ripetete gli errori del passato!
La liberazione di Mosul dall’IS (Islamic state) è una buona notizia, ma l’IS è ben lungi dall’essere stato eliminato. A questo punto gli Stati Uniti devono valutare attentamente le prossime mosse, per evitare gli errori del passato, quando, dopo il 2007, lasciarono l’Iraq senza una strategia precisa e il paese cadde nuovamente vittima dell’estremismo religioso.
Il primo ministro iracheno Haider al-Abadi dichiara Mosul libera dalle forze dell’IS, il risultato di una delle più lunghe e devastanti battaglie urbane del ventunesimo secolo. In altre parti dell’Iraq l’IS è vicino alla perdita di gran parte del territorio che una volta era sotto il suo controllo. Lungo la frontiera con la Siria, le Forze Democratiche Siriane, sostenute dagli Stati Uniti, stanno spingendo il gruppo fuori dalla roccaforte di Raqqa.
Le notizie sembrano buone, ma l’IS è lontano dall’essere eliminato. Molti dei suoi foreign fighters stanno tornando a casa, verosimilmente portando il terrorismo con loro. Alcuni dei suoi leader e combattenti restano in Iraq. Il gruppo sta ricorrendo alla guerriglia, incluso attacchi contro i civili in aree densamente popolate dell’Iraq.
L’operazione per riprendere Mosul, particolarmente la parte occidentale della città è stata violenta fin da febbraio, ed è giunta ad un costo incredibilmente alto. Centinaia di civili feriti ed uccisi nei combattimenti.
Mosul e i civili, incluso bambini, hanno pagato il prezzo di questa operazione.
Human Rights Watch e Amnesty International hanno diffuso un rapporto congiunto circa un mese fa in cui, rivolgendosi in particolare alla coalizione a guida americana, raccomandavano di fare più attenzione nella campagna di bombardamenti e particolarmente alle tipologie e alle dimensioni delle bombe che sceglievano di lanciare. A causa di queste grandi bombe lanciate sempre più di frequente, c’è stato un aumento nelle vittime civili sul terreno.
Questa operazione ha dislocato più di 700 mila civili che non saranno in grado di ritornare a causa dell’alto livello di distruzione.
Gli Stati Uniti stiano attenti a non ripetere gli errori del passato
Tutto ciò sta a significare che gli Stati Uniti devono valutare bene le loro prossime mosse, nella speranza che riescano ad evitare gli errori compiuti nel passato.
Alcuni anni fa, quando l’Iraq sembrava aver sconfitto i suoi estremisti interni dopo il picco della presenza di forze americane nel 2007, gli Stati Uniti ritirarono le loro forze. L’allora presidente George W. Bush firmò il SOFA (status of force agreement) con l’Iraq che stabiliva la rimozione di tutte le truppe di combattimento americane entro il 2011.
Sebbene i generali americani avessero fatto presente a Washington che né il governo iracheno né le sue forze di sicurezza erano pronte a funzionare senza un’assistenza americana di vasta scala; dopo essere entrato in carica nel 2009, il presidente Obama (che aveva corso alla presidenza nel 2008 con la promessa di ritirare le truppe dall’Iraq), non fece nulla per rinegoziare l’accordo firmato da Bush.
Va detto però che era improbabile che l’allora primo ministro dell’Iraq Nouri al-Maliki avrebbe accettato un continuo dispiegamento americano. Maliki era chiaramente impegnato a consolidare la dominazione sciita nel governo iracheno e sulle forze di sicurezza e riconosceva che una presenza militare americana avrebbe impedito ciò. Inoltre, egli sopravvalutò l’efficacia del suo apparato militare mentre sottostimava l’estensione dell’estremismo tra gli iracheni sunniti.
Adesso c’è l’opportunità di fare le scelte giuste. Abadi sembra comprendere meglio le sfide politiche e le minacce estremiste che l’Iraq deve affrontare. Questo crea un’opportunità per l’impegno americano per aiutare a prevenire la ripresa dell’IS e diminuire la dipendenza di Baghdad dall’Iran.
In altre parole le relazioni Stati Uniti-Iraq hanno un disperato bisogno di ricomporsi e di correggere gli errori compiuti tra il 2008 e il 2011.
Questo non accadrà se Trump non si impegna pienamente in ciò. Per raggiungere questo obiettivo, l’amministrazione Trump dovrebbe proporre che una forza militare americana, modesta, resti in Iraq anche dopo la sconfitta sul campo dell’IS. Una forza residuale molto simile a quella che i comandanti militari americani consigliarono a Bush ed Obama di lasciare nel paese dopo il 2007.
La missione primaria dovrebbe essere di sostenere e rinforzare le forze di sicurezza irachene e guidare le missioni di combattimento. Molta di questa forza dovrebbe concentrarsi sull’intelligence, aiutando gli iracheni ad identificare i luoghi dell’IS e informare su ogni nuova manifestazione di estremismo. Dovrebbe anche includere unità delle operazioni speciali in grado di colpire l’IS, in Iraq e in Siria, ma solo quando assolutamente necessario.
Se…
…Abadi o chiunque lo segue agiranno come Maliki, utilizzando il governo e le forze di sicurezza per reprimere gli arabi sunniti, o degradano l’apparato militare selezionando i leader su base settaria o per fedeltà politica piuttosto che per competenze professionali, gli Stati Uniti dovranno disimpegnarsi dall’Iraq una volta per tutte, magari mantenendo legami di sicurezza solo con il governo della regione curda.
Il Presidente Trump non ha dato indicazioni precise di voler mantenere un ruolo duraturo nel complesso lavoro di stabilizzazione dell’Iraq dopo la sconfitta sul campo di battaglia dell’IS. Se il Presidente degli Stati Uniti non si impegna nel reimpostare la relazione con l’Iraq, semplicemente la relazione non avrà futuro.
Senza un effettivo coinvolgimento americano, c’è una buona opportunità che l’estremismo si manifesterà nuovamente in Iraq, giocando un ruolo ancora più grande.
Se gli Stati Uniti non aiuteranno a riempire gli spazi da cui l’IS trae forza e “legittimazione” la nuova coalizione che comprende la Russia, l’Iran, Hezbollah, milizie sciite irachene e iraniane lo farà.
Non si può affermare con assoluta certezza che gli sforzi americani saranno sufficienti a prevenire ciò, ma sicuramente l’assenza di tali sforzi aumenterà le possibilità che questo accada a detrimento degli Stati Uniti e della pace e sicurezza internazionale.