Gennaio 20 2017

Chi sfiderà per primo Donald Trump?

Donald Trump

Quale sarà il primo avversario a sfidare il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump?

Non tutte le sfide sono uguali, quella che arriva dalla Cina è senz’altro la più importante.

Il 20 gennaio è arrivato. Donald Trump giura come Presidente degli Stati Uniti.

Chi sono gli avversari degli Stati Uniti che quasi certamente sfideranno il presidente Donald Trump, già da subito, mettendo alla prova la sua inesperienza negli affari di sicurezza nazionale e la sua propensione a personalizzare le interazioni politiche?

La forza di carattere della nuova amministrazione americana si vedrà proprio nella risposta di Trump e del suo team a queste sfide e questo, di conseguenza, determinerà se altri avversari lanceranno nuove sfide agli Stati Uniti.

Quello che non è chiaro è chi sarà il primo a lanciare la sfida.

Russia

che appare di aver lanciato un assalto multidimensionale per indebolire le democrazie occidentali, sembra essere probabilmente l’ultima a sfidare la nuova amministrazione. Tutti i segnali ci indicano che Donald Trump si troverà bene con Putin. Il primo ha mostrato poca preoccupazione per gli attacchi cyber della Russia, per gli interventi nel processo elettorale degli Stati Uniti e l’aggressione contro gli Stati confinanti.

Perciò Putin guadagnerebbe poco dal testare apertamente l’amministrazione Trump, almeno nel breve periodo.

Iran

è improbabile che lanci una maggiore sfida alla nuova amministrazione. Molto pesantemente, oserei dire, coinvolto nella guerra civile siriana, deve anche affrontare un’irrequieta giovane popolazione locale;

per cui Teheran potrebbe continuare con le provocazioni di basso livello, ma avrebbe poco da guadagnare da un confronto maggiore.

Mentre Donald Trump ha manifestato la sua volontà rinegoziare l’accordo nucleare con l’Iran, Teheran ha rifiutato questa idea. E senza un fronte unificato che comprende l’Europa, la Russia e la Cina, gli Stati Uniti non possono apporre sufficiente pressione sull’Iran per obbligarla ad accettare delle condizioni più restrittive di quelle già applicate. Washington e Teheran probabilmente si lanceranno occhiatacce l’un l’altro mentre salgono piano piano la scala del confronto.

“Stato islamico”

raddoppierà i suoi sforzi per lanciare attacchi negli Stati Uniti o contro obiettivi americani all’estero. Alcuni potrebbero riuscire: è quasi impossibile anche per un programma di contro-terrorismo altamente efficace essere al 100% di successo. Tuttavia lo “Stato islamico” non sta rivelando i suoi piani e ha una piccola capacità di escalation.

Tutti i segnali puntano alla regione Asia-Pacifico come la zona più pericolosa, fin da subito per l’amministrazione Trump, una combinazione di avversari potenti con una ostilità accresciuta per gli Stati Uniti.

Nord Corea

sfiderà l’amministrazione Trump se non altro per le minacce, le intimidazioni e le sbruffonerie che sono diventate una vera e propria procedura operativa per la dittatura ereditaria di Kim. Trump potrebbe ordinare alle forze militari americane di distruggere ogni missile balistico di lungo raggio che il Nord Corea testerà, ma è difficile da immaginare quello che possa fare al di là di questo.

Il regime del Nord Corea bizzarro ed incostante potrebbe attaccare gli Stati confinanti, possibilmente con armi nucleari, se sentisse allentare la sua presa al potere. Se si sbriciolasse, una crisi umanitaria imponente e una guerra civile devastante molto probabilmente seguiranno, facendo cadere la crescita economica asiatica e quindi quella dell’intero mondo.

I vicini del Nord Corea sanno questo e farebbero tutto quello che è  in loro potere per evitare di provocare il regime di Kim al punto dell’aggressione o spingerlo al collasso. Questo stabilisce precisi limiti a quello che gli Stati Uniti possono fare diversamente da bombardamenti limitati alle infrastrutture militari nord coreane. Niente nella storia della dinastia Kim ci suggerisce che questo darebbe il via ad una maggiore compostezza e moderazione.

Il più preoccupante avversario di tutti: la Cina.

Mentre Washington e Beijing hanno avuto delle relazioni di sicurezza tese per un certo numero di anni, particolarmente quando la Cina si è mossa per affermare il controllo di parti del mare nel sud della Cina, le due nazioni erano economicamente intrecciate e condividevano interessi nella stabilità regionale e globale.

Adesso le relazioni tra i due potrebbero essere velocemente disintegrate. In tutta la campagna presidenziale, Donald Trump è stato molto critico su quello che lui vede come un’ineguaglianza nella relazione economica tra gli Stati Uniti e la Cina. Da quando, poi, ha vinto le elezioni, ha messo in discussione la politica di lungo corso di “one China” che riconosce Beijing e non Taiwan come il solo rappresentante diplomatico della nazione cinese.

Più recentemente, Rex Tillerson, la nomina di Trump come Segretario di Stato, ha comparato, nella seduta di conferma del Senato, la politica della Cina di costruire isole e usarle poi come base per rivendicazioni giuridiche di grandi parti del mare del Sud della Cina, all’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014.

La Cina considera Taiwan e il mare del Sud della Cina come interessi vitali nazionali e quindi farà molto per difendere la sua posizione, possibilmente usando anche la forza militare. E diversamente da altri avversari americani, la Cina ha molteplici vie per colpire gli Stati Unti, inclusa, non solo l’azione militare, ma anche la pressione economica e l’aggressione cyber.

La retorica di Trump e Tillerson potrebbe tentare di applicare le tecniche della negoziazione in affari alla sicurezza nazionale, rivendicando una posizione iniziale estrema sull’aspettativa che più tardi persuadranno l’altra parte ad accettare di meno. Ma nel mondo degli affari il peggio che può succedere se uno stratagemma di questo tipo fallisce è che l’accordo si rovina. Nel regno della sicurezza, c’è il potenziale per uno spargimento di sangue, un disastro, una crisi globale se le due più grandi economie del mondo inciampiassero in un conflitto.

Agosto 11 2016

Trump – Putin: l’inizio di una lunga storia d’amore?

Trump

Trump e Putin sembrano molto più vicini di quello che appare. Il primo paga come direttore della sua campagna elettorale l’amico degli oligarchi russi ed il secondo si augura la vittoria di colui che può mettere la Russia in una posizione di vantaggio geopolitico.

Partiamo dall’inizio: la Clinton accusa Vladimir Putin di aver incoraggiato l’intelligence russa a violare i documenti del Comitato Nazionale Democratico e dare a WikiLeakes migliaia di email come parte di uno schema più ampio allo scopo di far eleggere Donald Trump come presidente.

La prima cosa che viene da chiedersi è: “perché Putin vorrebbe influenzare le elezioni presidenziali americane?“. 

Si possono “immaginare” diversi motivazioni, ad esempio, la voglia di aumentare le difficoltà di una campagna elettorale già abbastanza controversa. La Russia vede gli Stati Uniti nel loro punto più basso, Putin è persuaso che gli Stati Uniti giochino il loro nefando gioco nella politica russa; Mosca vorrebbe minare la credibilità internazionale americana mettendo in luce le deficienze nella politica partitica americana.
Inoltre, Putin ritiene che gli Stati Uniti l’hanno già fatto a lui. Secondo il presidente russo gli Stati Uniti si sono per primi immischiati nella politica russa quando Putin decise di ricandidarsi per il terzo mandato.

Facciamo un breve salto nel passato: 2011/2012, le strade della capitale russa erano piene di dimostranti che protestavano per le violazioni elettorali nelle elezioni parlamentari e la mancanza di candidati alternativi per l’elezione presidenziale. Secondo Putin la colpa era degli Stati Uniti, asserendo che l’allora segretario di stato Hillary Clinton aveva o incitato ovvero direttamente finanziato i dimostranti.

Nel pensiero di Putin, l’Occidente cerca sempre di abbattere la Russia. Il prossimo anno sarà il centenario della rivoluzione russa e quest’anno si celebra il 25° anniversario della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nella visione globale russa, prima la Germania nella Prima Guerra Mondiale, e poi gli Stati Uniti nella Guerra Fredda hanno tratto vantaggio dalle divisioni domestiche e dalle vulnerabilità e lo stato russo collassò due volte in un secolo.

Uno degli obiettivi primari di Putin è di forzare i leader occidentali ad indietreggiare per essere sicuro che questo non accada di nuovo.

Putin vuole che gli Stati Uniti e i governi occidentali smettano di finanziare, come parte della loro politica estera, organizzazioni che promuovono le trasformazioni politiche ed economiche in Russia. Vuole, inoltre, evitare che i funzionari americani incontrino figure e partiti di opposizione.

Nella prospettiva di Putin, la promozione della democrazia è solo una copertura per un cambio di regime.

Prima di essere leader della Russia, Vladimir Putin era un ufficiale del KGB, il servizio segreto dell’era sovietica, e questa esperienza continua a modellare, condizionare le sue visioni ed azioni. Putin affronta i suoi rapporti con gli Stati Uniti con la logica di un operativo sotto copertura, immerso in congiure e cospirazioni. È pronto a combattere in maniera sporca e si affida agli elementi della sorpresa tattica per assicurarsi il massimo effetto.
Putin ha due caratteristiche che lo distinguono da altri leader mondiali: conosce come “lavorare con il popolo” e “lavora con l’informazione”.

Nel KGB, Putin ha imparato come esplorare le vulnerabilità delle persone, scoprire i loro segreti e utilizzare informazioni compromettenti contro di loro.

In questa visione, gli altri leader mondiali sono essenzialmente “obiettivi”.  Il presidente russo raccoglie informazioni e attentamente confeziona su misura il suo approccio ad ogni leader per vedere come può superarlo con astuzia. Per farvi un esempio, vi racconto di come Putin abbia giocato sulla paura dei cani di Angela Merkel per metterla a margine in un incontro nella sua dacia. Egli permise che il suo Labrador nero annusasse intorno e si stendesse ai piedi del cancelliere tedesco. In molte occasioni ha mostrato che dei funzionari occidentali conoscesse informazioni personali da i loro vecchi file del KGB.

I documenti del Comitato Nazionale Democratico probabilmente non sono stati dati a WikiLeaks dall’intelligence russa, ma la selettiva diffusione di email, in un frangente dove con tutta probabilità possono ottenere la massima attenzione dei media internazionali ed avere il più negativo impatto nella politica degli Stati Uniti, ha il segno caratteristico di un’operazione considerata attentamente.

Trump – Putin: l’inizio di una lunga storia d’amore

Si specula molto sul fatto che Putin potrebbe vedere Donald Trump come qualcuno con cui fare affari e che nutra del risentimento verso Hillary Clinton.

L’elogio di Trump verso Putin come “forte leader” è un sostanziale punto di rottura con la linea generale dei politici americani e dei leader d’opinione che castigano Putin e criticano la Russia. Dall’altra parte, Putin ha fatto dei commenti apparentemente favorevoli a Trump.

In questo quadretto si può aggiungere la circostanza che, sia in pubblico che in privato, Putin e altri ufficiali russi hanno reso chiaro l’opinione negativa della Clinton. Già in un’intervista del 2014 ad una televisione francese, Putin aveva strigliato la Clinton per i commenti che lei fece su di lui, notando che era “meglio non discutere con una donna” e che la Clinton non era mai stata “raffinata nelle sue dichiarazioni”.

In ultima analisi, non ci si può aspettare, ragionevolmente, che Putin possa influenzare il risultato delle elezioni presidenziali americane. La migliore speranza di Putin è di ridurre l’abilità di chiunque si sieda nello studio ovale di perseguire politiche a detrimento degli interessi suoi e della Russia.

Vi propongo dunque un’altra chiave di lettura

La Russia avrà le elezioni parlamentari a settembre, tra un mese dunque, e le elezioni presidenziali nel 2018, quando Putin, ci si aspetta, si candidi per il suo 4° mandato. Le informazioni dei documenti del Comitato Nazionale Democratico per il pubblico russo e per il mondo, sottolineano che la politica americana è “sporca” come quella russa e come in qualunque altro paese. In questo modo gli Stati Uniti vengono mostrati molto meno credibili come autorità morale sulla condotta delle elezioni.
Indipendentemente che sia eletto Trump o la Clinton, nella prospettiva di Mosca, alla fine di questa rovinosa campagna politica, il nuovo presidente americano si presenterà ferito così come si presentò Putin quando entrò in carica nel 2012. Un presidente americano che è eletto tra controversie e recriminazioni, insultato da un consistente segmento dell’elettorato e impantanato nelle crisi domestiche, che incontrerà serie difficoltà a forgiare una politica estera coerente e a sfidare la Russia.

La visionaria politica estera americana di Donald Trump.

Donald Trump ha dichiarato al New York Times che potrebbe non andare in soccorso di uno stato baltico, tutti e tre membri NATO, se la Russia dovesse invaderli. Trump ha poi spiegato che la sua esitazione scaturisce dalla preoccupazione che gli Stati membri della NATO non paghino i loro conti. Resta, tuttavia evidente, quando si parla dell’Alleanza Atlantica, che le affermazioni di Trump vanno al di là dei dollari e dei centesimi. Le  sue ultime dichiarazioni risultano essere coerenti con altri commenti sulla Russia, su Putin e la NATO.

L’insieme di tutte queste dichiarazioni ci indicano che se diventasse presidente Trump, le relazioni tra gli Stati Uniti e la Russia subirebbero una trasformazione. Ricordiamo che Trump ha chiamato la NATO: “obsoleta”, mentre suggeriva a gran voce il miglioramento di legami bilaterali con la Russia.

Trump è rimasto sorprendentemente vago circa i dettagli di quasi tutti i suoi piani politici, tuttavia le sue dichiarazioni ci suggeriscono che in un’amministrazione Trump, gli Stati Uniti si tireranno indietro dalle aree di conflitto con la Russia, garantendo a Putin molta più libertà di movimento sulla scena globale.

È anche probabile che l’amministrazione Trump si limiti nel criticare le pratiche autocratiche del governo russo, incluso la limitazione della libertà di stampa e le repressioni contro l’opposizione politica.
Se Trump vincesse, la relazione tra Mosca e Washington potrebbe includere un canale non ufficiale, dietro le scene, percorso, con tutta probabilità dall’uomo che guida la campagna di Trump: Paul Manafort.

Paul Manafort: la lunga mano russa che guida la campagna elettorale di Trump

Manafort è arrivato a Trump dopo aver fatto miracoli in Ucraina a fianco dell’ex presidente Viktor Yanukovych, uno stretto alleato di Putin. Nel corso di più di una decade, è diventato molto familiare ai potenti giocatori nella regione.
Manafort arrivò a Kiev nel tardo 2004, quando gli ucraini anti corruzione e pro – democrazia erano nel bel mezzo della Rivoluzione cosiddetta “orange revolution”; assunto da Yanukovych, come consulente della campagna elettorale. Quando il popolare leader dell’opposizione, Viktor Yushchenko, fu ad un soffio dalla morte dopo essere stato avvelenato con la diossina, presumibilmente da agenti russi, la sua faccia sfigurata non fece altro che dipingere Yanukovych come il cagnolino di Putin.
Manafort non aveva abbastanza tempo per salvare il suo cliente che perse malamente le elezioni di quell’anno. Molti pensarono che la carriera di Yanukovych fosse finita, ma guidato da Manafort, giocò una lunga partita. Il 2010 fu l’anno di un’altra elezione. L’obiettivo principale di Manafort era quello di muovere Yanykovych più vicino all’occidente, ma di fatto quello che lui fece fu confezionare un’immagine di Yanukovych, alleato ucraino di Putin, che lo faceva apparire più vicino a Washington. Questa operazione ha incluso finanche un photoshop con il presidente Barack Obama in modo che gli elettori ucraini in contrasto con Mosca sarebbero stati propensi a sostenerlo. La vittoria di Yanukovych diede il via ad una rivolta che è terminata con Yanukovych che scappa da Kiev per trovare esilio a Mosca.

Gli anni in cui Manafort ha lavorato nella regione gli hanno permesso di sviluppare relazioni con persone molto vicine a Putin e gli oligarchi russi sono diventati i suoi partner d’affari.

Il modello d’affari di Manfort consisteva nel condurre due operazioni parallele. Una di consultazione politica, l’altra di investimenti che vedevano il continuo guadagno finanziario dai suoi legami sviluppati durante la campagna elettorale per cui lavorava.
La parte politica degli affari, che sembrava specializzata nell’aiutare dittatori, faceva un po’ storcere il naso e qualche volta colpì l’attenzione degli organi di polizia giudiziaria. I procuratori americani accusarono uno dei clienti di Manafort di essere un membro dell’intelligence pakistana. Uno dei suoi partner, il miliardario russo Oleg Deripaska, conosciuto come l’oligarca favorito di Putin è stato oggetto di investigazioni in molti paesi.

Tanto per darvi un’idea del tipo di legame: Deripaska assunse Manafort per aiutarlo quando l’FBI revocò il suo visto americano, tra gli altri, per possibili legami con il crimine organizzato. Manafort e Deripaska, in seguito divennero partner nelle telecomunicazioni ucraine.

Se Trump dovesse diventare presidente, uno dei suoi più visibili cambiamenti nella politica estera americana sarà incentrato sui legami con la Russia. Forse più drammaticamente, ancorché meno visibile, i cambiamenti presumibilmente saranno condotti sotto la guida di Manfort.