Ottobre 15 2016

NATO: il suo versante ad est è più prezioso di quello a sud

NATO

Il rafforzato impegno della NATO in Europa Centrale e dell’Est ha un valore diplomatico e simbolico. Tuttavia c’è il rischio che il “fianco sud” dell’Alleanza da dove emana la minaccia dei gruppi estremisti riceva troppe poche attenzioni.

Ogni tanto, quasi ciclicamente, in Italia si riapre un discorso oserei dire sciocco sullo status di membro del nostro paese nella NATO. Notizie e fatti già noti vengono ripescati, rimescolati e confezionati ad hoc per qualche attimo di notorietà in più. Detesto sinceramente, ma anche educatamente, coloro che buttano la parola “guerra” qua e là, nei titoli, per attivare le masse in un rincorrersi di parole al vento. Detto questo cerchiamo insieme di rimettere ordine nelle valanghe di notizie tipo “l’Italia va in guerra/non è la mia guerra/ ci portano in guerra” e di capire cosa succede. In particolare, di riflettere sulla circostanza che la NATO destini troppe poche attenzioni alla minaccia che emana da gruppi estremisti nel suo versante sud.

Per chi se la fosse persa, vi ricordo che nel giugno di quest’anno la NATO ha condotto: Anaconda-16, la più vasta esercitazione NATO che si è svolta in Polonia dalla fine della Guerra fredda. Non mi pare che questa circostanza abbia turbato i benpensanti nostrani.

https://youtu.be/vOn4FkrwWeQ

Il summit NATO a Varsavia 8-9 luglio 2016

La scelta della città non è stata, evidentemente, casuale nelle menti dei leader dell’Alleanza: il paese dove la percezione della minaccia dell’aggressione russa è particolarmente acuta. A Varsavia dunque è stato deciso di rimpolpare la presenza della NATO nell’Europa Centrale e dell’Est, decisione che sia la Polonia che i suoi partner regionali chiedevano fosse attuata dall’Alleanza  da quando la Russia si è annessa la Crimea nel 2014 ed ha iniziato la sua incursione in Ucraina. 4 battaglioni composti dalle truppe degli Stati membri della NATO, incluso: Inghilterra, Germania, Canada, Italia e Stati Uniti si dispiegheranno (a rotazione) in Polonia e nei tre Stati Baltici: Estonia, Lituania e Lettonia che vi ricordo sono Stati membri della NATO.

Questi dispiegamenti non saranno permanenti e realisticamente non saranno abbastanza per trattenere una invasione su vasta scala della Russia.

L’impegno della NATO in questa parte dell’Europa è importante diplomaticamente e simbolicamente.

Crea quello che io chiamo “filo d’inciampo” per gli Stati Uniti e il coinvolgimento dell’Europa occidentale nell’eventualità di un’invasione russa: le truppe russe che invaderebbero la regione dovrebbero ingaggiare truppe americane e di altre potenze militari, che in teoria li porterebbe immediatamente in guerra. Circostanza assai rischiosa anche da un punto di vista economico per Putin.

Precedentemente l’art.5 della NATO sulla difesa collettiva era generalmente visto come una garanzia sufficiente. Ed è qui che le visioni differiscono: è importante avere i piedi sul terreno per garantire la sicurezza della regione o basta mostrare i muscoli con esercitazioni come Anaconda ’16? Sebbene nel contesto dell’incontro di Varsavia i 28 Stati membri della NATO hanno raggiunto un livello di accordo e di mutua soddisfazione quasi sorprendente, mi chiedo: “un approccio così unito, nel lungo termine si potrà mantenere?” Credo che sia parecchio difficile.

La NATO sta anche incrementando la sua presenza militare in Romania, con una brigata multinazionale che staziona nel paese.

La Romania è sempre stata, storicamente, scettica nei confronti della Russia; Bucarest ha una delle forze armate più capaci nella regione al di fuori della Polonia. La Romania, dal canto suo voleva più che una brigata multinazionale, ma l’aspettativa è che il paese vedrà un incremento delle attività militari della NATO, o almeno degli Stati Uniti, nei prossimi anni.

NATO: il versante est vince sul versante sud

La decisione della NATO di accrescere la presenza  nel suo versante est è stata vista da molti, soprattutto dal vice ministro della difesa polacco, come un nuovo elemento del concetto di difesa collettivo, aggiungendo che la “presenza in avanti” è il secondo pilastro della deterrenza.

Come non comprendere le istanze della Polonia e dei Stati baltici; la Russia non si è mai dimenticata di far notare la sua presenza facendo alzare in volo i suoi aerei militari lungo la frontiera con i paesi NATO, o le rapide esercitazioni. Queste mosse di Mosca sono viste e percepite dagli Stati baltici come dimostrazioni, sì di forza militare, ma contenenti in sé il rischio di poter subito intensificarsi.

Lo “spazio Suwalki

L’attenzione, recentemente, si è focalizzata sul cosiddetto  spazio Suwalki la frontiera di circa 97km tra la Lituania e la Polonia schiacciata tra Kaliningrad e l’alleato russo: la Bielorussia. Se la Russia agguantasse lo spazio, isolerebbe gli Stati baltici dal resto della NATO.

Tuttavia altri Stati membri della NATO non condividono la percezione del rischio russo degli Stati baltici e della Polonia.

Il presidente francese Hollande, ha dichiarato che la NATO non ha nessun ruolo per stabilire quali debbano essere le relazioni con la Russia, rimarcando che per la Francia, la Russia non è né un avversario né una minaccia.

Spostandoci un po’ più a sud, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Ungheria sono più immediatamente preoccupate per i flussi migratori e l’instabilità dei Balcani, anche se nel quadro della NATO capiscono la prospettiva della Polonia e degli Stati baltici.

L’unità della NATO reggerà?

La domanda che vi ponevo all’inzio. Tre sono le riflessioni che voglio proporvi. L’approccio della NATO a quel serbatoio di benzina che è i Balcani, la minaccia di gruppi estremisti, vale a dire il terrorismo internazionale e il ruolo della Turchia.

La NATO non rotola a sud:

1. i Balcani

L’approccio della NATO nel potenziale serbatoio di benzina dei Balcani è stato esitante e divisivo. La Grecia ha continuato a bloccare la membership della Repubblica di Macedonia a lungo rinviata. La Russia ha tratto vantaggio dalle proteste anti-NATO nel Montenegro che dovrebbe unirsi all’Alleanza, per richiamare i Balcani ad essere “militarmente neutrali”. Nello stesso tempo Mosca fornisce assetti militari, sostegno in situazioni di emergenza e addestramento per le forze speciali di polizia in Stati dei Balcani: Bosnia e Serbia.

2. Il terrorismo internazionale

Sulla questione del terrorismo internazionale, in particolare “lo Stato islamico”, nella dichiarazione di Varsavia, troviamo tante bellissime parole, ma sostanza poca. Si dice che il gruppo estremista transnazionale è stato degradato, molti accoliti uccisi, molti seguaci si sono allontanati. Molti. Veramente? Allora tutto bene, che bello! In Iraq, si invitano le autorità locali a darsi da fare per migliorare le forze armate e la sicurezza, e già, dopo che nessuno si è preso la briga non solo di pianificare, ma di eseguire la “exit strategy”, adesso rispettiamo la sovranità dello Stato iracheno. Sulla Siria, una chicca: “l’efficace battaglia contro lo “Stato islamico” sarà possibile solo con un governo legittimo in carica”. Questa affermazione forse tralascia la circostanza che per ora Assad è il presidente della Siria, che gli Stati Uniti hanno per anni finanziato gruppi di ribelli contro Assad per poi accorgersi che la situazione gli era sfuggita di mano. Gli Stati Uniti, membri della NATO, si ricordano che giocano sul doppio livello in Siria, da un lato paladini della sicurezza e della pace internazionale e dall’altro potenza dominante contro la Russia, finanziatori con denaro e armi di gruppi estremisti?

Si legge, inoltre, nel documento NATO di Varsavia che nello sforzo di proiettare stabilità, si è consapevoli che c’è la necessità di affrontare le condizioni che portano alla diffusione del terrorismo internazionale. Beh mi sembra troppo poco; seppur un passo avanti è stato fatto perché si ravvisa la necessità che ci sia bisogno di affrontare le cause del terrorismo internazionale e non le conseguenze, non è abbastanza senza una strategia focalizzata sulle radici dei gruppi estremisti e di lungo termine.

Leggete anche voi uno dei pezzi della dichiarazione di Varsavia che riguarda lo “Stato islamico”.

NATO

3. La Turchia e il gioco delle tre carte

La Turchia cerca attivamente ora più che mai un riavvicinamento con Mosca, visto il raffreddamento delle relazioni con Washington dal “tentato golpe”.

La Turchia potrebbe fare il doppio gioco, difficile predire quale sia la sua vera strategia. Potrebbe prendere parte alle misure di “rassicurazione” della NATO nella regione del Mar Nero mentre, allo stesso tempo, migliorare le relazioni con la Russia e riposizionarsi vis-a-vis con gli Stati Uniti.

Non dimentichiamo che gli strumenti utilizzati dalla Russia come la corruzione, lo spionaggio, la sovversione, la propaganda e le campagne di disinformazione, non sono necessariamente ben contrastate da soldati.

Teniamo anche bene a mente che l’Italia è il versante sud della NATO.

Agosto 27 2015

Siria: il vostro tavolo da gioco

La Siria è diventata un tavolo da gioco dove il rumore delle armi e il potere dei soldi dell’Iran, Russia, Arabia Saudita, Giordania, Turchia, Israele hanno soffocato, nel silenzio complice della comunità internazionale, il sangue di 4 anni di guerra civile.

Pensate ad tavolo rotondo marrone di quelli antichi, massicci, con sopra la mappa della Siria, plastificata lucida, i nomi delle città, le strade i confini. Intorno al tavolo sedie grandi rivestite di quel tessuto stampato in velluto con i fiori bordeaux, poggiate su enorme tappeto persiano, bello grande. Sul tavolo giusto perpendicolare un lampadario di quelli antichi con tante lampadine. Seduti su quelle sedie se ne stanno quelli che per denaro, per potere, spudoratamente continuano a giocare in un paese oramai dimenticato da tutti. Vediamo chi gioca e come.

Iran: i primi di agosto il ministro iraniano degli affari esteri, Zarif, visita Damasco, dove incontra anche il leader di Hezbollah, Nasrallah, poi si dirige in Pakistan ad Islamabad. Il suo ruolo principale: chiarire le implicazioni dell’accordo di Vienna sul nucleare (ricordo che quell’accordo è poi stato ripreso in toto e annesso alla risoluzione n. 2231 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quindi vincolante per tutti e dico: tutti). Il commercio delle armi dell’Iran è molto importante per la Siria di Assad. La priorità di Khameini è quella di migliorare la propria difesa, negli ultimi anni si è visto come la sua stessa sicurezza sia inestricabilmente legata ad una rete di alleati regionali e di proxies che ha coltivato in Iraq, in Libano, e nella stessa Siria. Questo include Assad e una serie di milizie pro – governative, giusto per fare qualche nome, e lo farò in inglese perché mettersi a tradurre i nomi mi pare decisamente fuori luogo: National Defence Forces (la più grande rete di milizia), the Jerusalem Brigade, the Syrian Resistance, Syrian Social Nationalist Party, Popular Front for the Liberation of Palestine – General Command, Desert Falcons. Con tutti i miliardi spesi per il supporto ad Assad è assai improbabile che Teheran si faccia da parte. Aprile 2015, il presidente russo Putin, evidenziando i progressi nelle negoziazioni per l ‘accordo con l’Iran sul nucleare, dichiara d’avere una buona ragione per togliere il divieto di vendita degli S – 300 all’Iran, un potente sistema di difesa aerea, visto come un utilissimo mezzo per compensare la superiorità aerea degli americani e degli israeliani. Qualche giorno fa il presidente iraniano Rouhani ha rivelato che il paese ha prodotto il suo ultimo modello di SSM: il Fateh (vincitore) 313, missile balistico con un raggio di 500 km. Per Assad l’accordo di Vienna con tutta probabilità assicurerà la crescita di influenza politica e finanziaria del suo più affidabile alleato. Tanto per essere chiari: l’Iran con i suoi contatti politici, organizzazione e finanziamento sostiene il traffico di autocisterne che tengono a galla l’economia, le infrastrutture di Assad . Il sostegno finanziario dell’Iran, le spedizioni, hanno permesso l’acquisto di petrolio e di altri beni d’importazione essenziali. Tanto per capirci: all’inizio del 2013 la banca centrale siriana ha raggiunto un accordo con l’Iran di 3 miliardi di dollari di credito per coprire i rifornimenti di petrolio, parte di una più ampia linea di credito per un valore di circa 7 miliardi di dollari. Un totale di 17 milioni di barili di crudo sono stati spediti alla raffineria di Baniyas tra il febbraio e l’ottobre del 2013, finanziate da lettere di credito iraniane e trasportate da autocisterne dall’Iran e Iraq via l’oleodotto Sumed che attraversa l’Egitto. Il 19 maggio di quest’anno l’Iran e la Siria hanno firmato un accordo per una linea di credito di un miliardo di dollari che è per Assad una gran bella mano. E’ vero che tutte le sanzioni multilaterali e unilaterali secondo l’accordo di Vienna e la risoluzione verranno revocate non prima di 8 anni, immagino che però molti partner e molti ex partner commerciali dell’Iran, tra cui alcuni paesi membri dell’Unione Europea, possano chiudere un occhio sulla politica regionale iraniana se questo è il prezzo per prendere un pezzo della torta. Morale della storia: più soldi all’Iran, più soldi ad Assad.

Russia:  come abbiamo visto vende gli S- 300 all’Iran e si garantisce un bel controllo dell’area, ma contemporaneamente previene un intervento armato americano, perché diciamocelo la Russia è sempre rimasta fissata con l’idea della guerra fredda. Importantissimo, la Siria è sempre stata un cliente fisso dell’industria di difesa russa, tra l’altro molti ufficiali siriani sono stati addestrati in Russia, sposati a donne russe. Putin ha bisogno di quei soldi, ricordiamoci che le sanzioni per la storia dell’Ucraina hanno un costo per l’ economia russa e i soldi servono. La Siria è centrale per le aspirazioni geopolitiche russe, continuano a tenere una struttura di riparazione e rifornimento per la marina russa al porto di Tartus, dove peraltro avevano investito molto denaro per la ristrutturazione poco prima che iniziasse la guerra civile nel 2011. Le aspirazioni russe nel rivestire un ruolo importante nel Mediterraneo dell’est e nel medio oriente sono vive e vegete. Così si è offerta recentemente di ospitare colloqui di pace a Mosca ricevendo Khaled Khoja, il presidente del National Coalition for Syrian Revolution e le forze opponenti.

Arabia Saudita: l’attività diplomatica continua ad avere un profilo molto alto, il ministro degli esteri e della difesa da giugno si focalizzano sul trovare una posizione comune con la Russia. La sicurezza è cruciale e la Siria è terreno fertile di estremisti islamisti non graditi alla monarchia.

Giordania: la sicurezza delle sue frontiere è la sua preoccupazione maggiore. Rinforza la sorveglianza delle frontiere e si allea con gli Stati Uniti nella coalizione anti Stato Islamico.

Turchia: l’assillo di Erdogan, a parte le sue personali aspirazioni di leader regionale, è quello di prevenire la formazione di un Kurdistan nel nord della Siria e con la scusa di fermare lo Stato Islamico, una bomba a loro ed una ai curdi. Una cosa diversa però Ankara l’ha fatta: diminuire le relazioni con Israele. Sì perché Israele ultimamente ha avuto non pochi problemi con l’accordo sul nucleare. Continuano le relazioni commerciali certo, ma la diplomazia sembra essersi imbalsamata.

Israele: non gli è andato giù per niente l’accordo di Vienna, definendolo un errore storico, ripete che il più grande pericolo per Israele é l’arco strategico che si estende tra Teheran, Damasco e Beirut. Raid israeliani  bombardano un’importante via di rifornimento usata da Hezbollah  nelle montagne di Qalamon (area che include una serie di strade che Hezbollah usa per trasferire esseri umani e supporto logistico dentro e fuori dal territorio siriano). Ha bombardato poi 14 postazioni del regime siriano nella parte siriana delle alture del Golan tutto in risposta ad un bombardamento del regime in un villaggio del nord di Israele.

NATO:  con un annuncio a sorpresa del 16 agosto  in cui si dichiara che il dispiegamento dei Patriot finirà a gennaio 2016, si evidenzia un crescente vuoto, oserei dire, tra gli Stati Uniti e i suoi alleati che non è compensato dal recente accordo che consente che aerei americani possano decollare per missioni di combattimento dalla base di Incirlik in Turchia.

Sul tavolo di questo gioco c’è lo Stato Islamico e una serie di gruppi estremisti, piccoli e grandi che si muovono in questo vuoto di potere. Non fanno più notizia i bombardamenti al mercato di Douma di Assad, le foto dei bambini morti. Da poco qualcuno si è accorto che ci sono i profughi siriani e li accolgono perchè sono in fondo dei filantropi. La disgrazia di questo paese è essere un tavolo da gioco, un punto geopoliticamente importante dove il rumore delle armi e quello silenzioso, ma potente dei soldi, coprono il sangue, la miseria, la distruzione. E così Signori, fate il vostro gioco, rien ne va plus.