Psicopatologia e terrorismo
Basta che un uomo odi un altro perché l’odio vada correndo per l’umanità intera.
(Jean-Paul Sartre)
Psicopatologia e terrorismo
Quello di cui vi volevo parlare oggi è il legame tra la psicopatologia e il terrorismo. Lo psicopatico è una persona il cui comportamento è caratterizzato da contenuti specifici e costanti i quali, a livello generale, rappresentano il rifiuto di conformarsi a norme sociali comunemente accettate. Non tutti gli psicopatici mettono in atto comportamenti violenti, ma la violenza è spesso la valvola di sfogo di tendenze aggressive e impulsive associate alla psicopatia. In modo analogo al terrorista, un individuo psicopatico presenta assenza di rimorsi o di senso di colpa per gli atti compiuti e una visione del mondo egoistica incompatibile con la capacità di provare una sincera preoccupazione per il benessere altrui. E’ facile presumere che la psicopatia sia associata al terrorismo e suggerire la presenza di un disturbo patologico nelle persone che mettono in atto volontariamente un comportamento terrorizzante. Tuttavia, la critica a tale assunto ha messo in risalto un’altra caratteristica associata al coinvolgimento in un’organizzazione terroristica: alla luce delle caratteristiche richieste da un’organizzazione terroristica ai propri membri per commettere tali azioni una delle prime descrizioni del terrorista, secondo una prospettiva psicologica (Cooper*), ha suggerito che il vero terrorista è privo di misericordia in quanto possiede una fede cieca nel proprio credo o si ritira in una follia confortante. Secondo Cooper, per sopportare le conseguenze delle proprie azioni i terroristi devono avere una coscienza isolata o un certo distacco dalla realtà.
La tesi della psicopatia è ancora limitata, vi sono scarse prove a sostegno dell’idea secondo cui i terroristi, da qualunque contesto provengano, possano o debbano essere considerati psicopatici.
Andres Breivik, giovane norvegese, nel luglio 2011 ha ucciso 77 persone tra i 15 e i 19 anni. è stato inizialmente ritenuto affetto da schizofrenia paranoide, ma è stato dichiarato “sano di mente e quindi penalmente responsabile” da una controperizia, venendogli riconosciuto solo un elevato disturbo narcisistico della personalità.
L’appartenenza a un’organizzazione terroristica con membri fortemente motivati comporta stabilire relazioni strette e durature, fondamentali per rinforzare l’impegno nei confronti del gruppo e dei suoi ideali. L’egocentrismo patologico, comune nelle psicopatie, è in contrasto con le caratteristiche ricercate dai leader e dai reclutatori di organizzazioni estremiste: elevata motivazione, impegno, disciplina, capacità di rimanere affidabili e concentrati sull’obiettivo anche di fronte allo stress, ad una possibile cattura e alla reclusione.
Consideriamo un punto importante che può far luce su alcune dinamiche terroristiche: le vittime del terrorista spesso sono accidentali, scelte su una base puramente simbolica (cittadini “occidentali”, passeggeri di un velivolo, spettatori di una maratona, turisti ecc.). Se si considera il modo in cui un assassino sceglie le proprie vittime, la natura delle vittime del terrorismo è in netto contrasto con quella delle vittime di un assassino psicopatico. Le ragioni di quest’ultimo sono profondamente personalizzate, sostenute da fantasie elaborate. Taylor** sostiene a questo proposito che l’utilizzo di autobombe permette al terrorista di mantenere una certa distanza dalla vittima, il terrorista potrebbe in realtà non avere un’esperienza diretta e personale del danno e delle mutilazioni che causa.
Malgrado l’attrattiva esercitata da questo tema, i gruppi estremisti non dovrebbero essere considerati né come organizzazioni di soggetti necessariamente psicopatici a causa della brutalità delle azioni perpetrate né come gruppi che reclutano persone con tendenze psicopatiche.
*H.H.A Cooper, “The terrorist and the victim”,Victimology, 1976
**M. Taylor, The terrorist (London, Brassey’s),1988