Novembre 11 2015

Quando a farsi esplodere è una donna.

donna

L’impiego di donne come attentatori ovvero suicide bomber è una realtà.

Il ruolo della donna nella jihad non è chiaro neanche nel Corano e nella comunità islamica ci sono due grandi categorie che possono essere utilizzare per caratterizzare le idee dei gruppi di estremisti di matrice islamica riguardo al ruolo della donna. Un ruolo supportivo contro un ruolo attivo.
Tra i gruppi che sostengono l’idea del ruolo attivo delle donne nella jihad c’è HAMAS, fondato nel 1987 e attiva in Palestina. Hamas ha chiaramente dichiarato la sua posizione nell’ art. 12 del suo statuto: “resistere e soffocare il nemico diviene un compito individuale di ogni musulmano, uomo o donna. Una donna può andare a combattere il nemico senza il permesso di suo marito e così anche la schiava, senza il permesso del suo padrone”. Hamas utilizza donne come suicide bombers  in numero sempre maggiore. Huda Naim una delle donne leader, membro di Hamas, asserisce che molte donne in Palestina vogliono diventare più attive nella jihad.
Un’altra organizzazione che permette alle donne un ruolo attivo nella jihad è l’Islamic Jihad Union, gruppo attivo in Afghanistan ed in Pakistan.
Dal 2005, il numero di suicide bomber al femminile in Iraq è incrementato ed è cresciuto di più ogni anno. Il 9 novembre 2005, ad Amman, Giordania, ci sono stati 3 attacchi suicidi ad Hotel occidentali, il Radisson Hotel, il Grand Hyatt Hotel e il Days Inn, che hanno ucciso dozzine di persone. L’attacco al Radisson ha visto anche un suicide bomber donna. Sajida Mubarak al – Rishawi, 35enne irachena e suo marito anche lui 35enne, cercarono di farsi esplodere in una festa di nozze che si teneva in una delle sale da ballo dell’hotel. Il marito detonò la sua cintura esplosiva per primo, ma quando la donna cercò di farsi esplodere, la sua cintura non esplose. La donna raccontò l’accaduto in una confessione registrata.
Pur tuttavia l’impiego di donne suicide bomber non è nulla di nuovo visto che  agli inizi degli anni ’80, all’età di 16 anni un membro del Partito sociale nazionalista siriano: Sana’a Mehaidli si fece esplodere in una Peugeot vicino ad un convoglio israeliano durante l’occupazione del sud del Libano.
Un altro esempio del ruolo attivo giocato dalle donne è quello delle donne cecene che combatterono dopo che i loro mariti furono uccisi dalle forze russe.

Perché le donne?

Per le donne di gruppi estremisti che usano come tecnica il terrorismo è più facile ottenere l’accesso ai luoghi degli obiettivi indossando l’esplosivo sotto i loro vestiti. Gli atti terroristici delle donne posso attrarre molta più attenzione e quindi maggiore pubblicità rispetto a quelli degli uomini. Il “pubblico” è sia ripugnato che affascinato dalle donne che uccidono. Un altro punto importante è che indossare una cintura esplosiva e farla detonare non richiede grande addestramento e questa disponibilità immediata delle donne reclutate effettivamente raddoppia il numero dei potenziali attori per la causa del gruppo estremista.
Ci sono altre organizzazioni che hanno impiegato donne come suicide bomber: Al Aqsa Martyr’s Brigade, Palestinian Islamic Jihad, Hamas, Chechen rebels, Kurdistan Workers Party, Liberation Tigers of Tamil Eelam.
Le percentuali variano enormemente da gruppo a gruppo. Al Qaeda non ha usato donne fino al 2003, invece più del 50% dei terroristi suicidi sia per i ceceni che per il Kurdistan Workers’ Part erano donne.
Se si dovesse fare una graduatoria di celebrità nell’utilizzo di donne, al primo posto possiamo senz’altro mettere le Liberation Tigers of Tamil Eelam (che combattevano per secedere dallo Sri Lanka), le quali hanno compiuto circa 200 attacchi suicidi nel periodo dal 1980 al 2003 utilizzando le donne nel 30-40% dei casi. L’unità delle Tamil Tigers di donne suicide bomber si chiama: Black Tigress. La donna delle Black Tigress con il numero più alto di vittime si chiamama Thenmuli Rajaratnan, conosciuta anche come Dhanu. Secondo alcuni Dhanu era stata stuprata, i suoi quattro fratelli uccisi, da soldati indiani che erano parte della forza di peacekeeping che era entrata nello Sri Lanka per reprimere la rivolta delle Tamil Tiger. Per Boko Haram ora affiliato dello “stato islamico” che si fa chiamare ISWA (islamic state in west africa), l’impiego delle donne come suicide bomber è una tattica comune in Nigeria da almeno due anni. Uno degli attacchi più feroci c’è stato il 27 novembre 2014: due donne hanno ucciso 78 persone e ferito molte altri a Maiduguri. Dal giugno 2014, il gruppo estremista ha impiegato almeno 52 donne di età compresa tra i 9 e i 50 anni come suicide bomber in Nigeria e in Cameroon.

Il martirio delle donne ha un valore aggiunto.

Un atto perpretato da una persona considerata per natura non violenta può rappresentare la testimonianza che l’oppressione della sua gente è così grave che persino le donne sono disperate a tal punto da usare la violenza. Supponiamo che la società da cui viene la donna terrorista è caratterizzata da una profonda ineguaglianza di genere e che la società glorifichi il martirio per una casa giusta e suprema, come difendere la fede o difendere le persone contro una forza minacciosa. In questo quadro, un atto suicida di una donna assume un significato speciale che non è disponibile per i terroristi uomini. Questi ultimi possono diventare martiri per la fede del loro popolo oppure per la sopravvivenza come comunità. Tuttavia soltanto il martirio delle donne per la stessa causa può acquisire il valore aggiunto di promuovere una sorta di inusuale equità di genere tra i membri della società in questione.

“La violenza distrugge ciò che vuole difendere: la dignità, la libertà, e la vita delle persone.” – Giovanni Paolo II – 

Ottobre 28 2015

Kamikaze e attentatore suicida non sono sinonimi

kamikaze e terrorist suicide bomber

Kamikaze non è sinonimo di attentatore terrorista suicida, eppure in Italia si continua ancora ad usare il termine kamikaze. I kamikaze giapponesi non hanno nulla in comune con i contemporanei attentatori terroristi suicida.

La stessa notizia in Italia viene diffusa così: Turchia, attacco Kamikaze , all’estero così: Turkish troops killed in suicide blast. Evidentemente, in Italia, non solo per i giornalisti, usare un termine impropriamente è all’ordine del giorno, peccato che si fa davvero una figuraccia se si sapesse a cosa si riferisce il termine kamikaze.

Chi sono i Kamikaze

La strategia Kamikaze è emersa tra il 1944 ed il 1945, come diretta risposta al fatto che la marina imperiale giapponese aveva perso la maggior parte delle sue navi da guerra e quasi tutte le sue portaerei  ed i rifornimenti di carburante dall’Indonesia erano stati per la maggior parte tagliati. Nel 1944 le truppe dell’esercito imperiale giapponese non riuscivano a sopravvivere: senza cibo e senza munizioni. La battaglia di Leyte Gulf (23 – 26 ottobre 1944)  vide il primo attacco kamikaze: i piloti giapponesi si schiantavano con i loro aeroplani contro obiettivi militari.

La campagna Kamikaze è unica: i partecipanti ci hanno lasciato una vasta quantità di lettere, poemi, memorie. Le analisi condotte soprattutto dall’ Institute of Cognitive and Decision Sciences Evolution & Cognition Focus group dell’ Università dell’Oregon ci dicono che i piloti erano motivati dalla conoscenza che la loro morte, presumibilmente, avrebbe aiutato a migliorare le fortune dell’apparato militare giapponese in declino. La maggiore fonte di piloti kamikaze era l’ Air Force Cadet Officer System, venivano reclutati all’università e al liceo su base volontaria.

Perché non è possibile usare il termine Kamikaze come sinonimo di attentatore terrorista suicida ?

I piloti kamikaze: a) non agivano sotto coercizione; b) non erano fortemente motivati dalle attitudini culturali giapponesi verso il suicidio per se; c) non erano fortemente motivati dalla religione.

Non è possibile comparare la mentalità dei kamikaze con quella dei terroristi che si fanno saltare in aria. Un’importante differenza risiede nel fatto che gli attacchi kamikaze erano realizzati e legittimatati dall’apparato militare di uno Stato, mentre gli attacchi degli attentatori suicida sono generalmente pianificati e autorizzati da organizzazioni che si posizionano al di fuori della struttura dello Stato. In contrasto con i contemporanei attentatori suicida i loro obiettivi sono sempre stati aeroplani militari, navi e soldati, mai civili. Durante gli ultimi mesi della guerra del pacifico, gli obiettivi militari erano gli unici che i kamikaze potevano sfidare, secondo le condizioni di guerra. Per i piloti kamikaze l’obiettivo finale delle loro azioni non era uccidere i soldati nemici o raggiungere la vittoria della guerra, ma forzare gli Alleati a fare concessioni per terminare la guerra, terrorizzandoli con gli attacchi suicida.

 Le parole sono la più potente droga usata dall’uomo. (Rudyard Kipling)