Marzo 17 2016

Tunisia: preoccupati della sicurezza interna

Tunisia

La Tunisia non dovrebbe negare a sé stessa i problemi di sicurezza interna e concentrarsi sulle regioni del sud, possibile fucina di estremisti.

Ricordiamo gli scontri nella città tunisina di Ben Guerdane di qualche settimana fa quando sono stati attaccati posti militari e di polizia. Civili uccisi, 13 ufficiali di sicurezza e 46 estremisti morti. L’assalto, accaduto a circa 32 km dalla frontiera con la Libia è l’ultimo esempio di una pericolosa ricaduta del conflitto libico attraverso una frontiera porosa. L’attacco rivela che anche se lo stato islamico prende piede in Libia, la più significativa minaccia alla sicurezza tunisina risiede all’interno delle sue frontiere. Questo perché i militanti che hanno rivendicato la presa della città come “liberatori” avevano accento locale, secondo i residenti, aumentando i timori che cellule non identificante “dormienti” siano aumentate. I funzionari tunisini hanno ammesso che nessuno dei perpetuatori dell’attacco a Ben Guerdane aveva attraversato la frontiera dalla Libia, piuttosto erano tunisini che vivevano in Tunisia. 

Tunisia maggior esportatore di foreign fighters

La lodevole transizione della Tunisia verso la democrazia dopo il 2011 è stata rovinata da episodi di violenza con picchi nel 2015 con un’ondata di attacchi terroristici, incluso quelli diretti contro il settore del turismo in una già fragile economia. La Tunisia è anche diventata il maggior esportatore di foreign fighters per lo stato islamico e altri gruppi estremisti in Siria.
La Tunisia si affida al contro – terrorismo convenzionale e a tattiche di guerra, andandoci con la mano pesante in assalti su scala militare. La strategia tende ad aumentare l’ostilità e ad alimentare la narrativa anti – statale, perpetrando il problema.
La Tunisia sta facendo il classico errore di rifiutarsi di riconoscere che focalizzandosi su un incidente isolato, si negano le linee che guidano le azioni sistematiche verso la radicalizzazione.
La frustrazione di molti tunisini discende dalle prestazioni governative inefficienti nell’incrementare l’occupazione e dalla gestione dell’economia, particolarmente nelle regioni più povere che sono state il punto focale delle proteste che poi portarono alla caduta di Bel Ali. A gennaio ci sono state delle manifestazioni per la disoccupazione nella provincia di Kasserine che si sono allargate fino alla capitale, Tunisi. Le manifestazioni che durarono per settimane furono spente con la mano mortale della polizia. Sebbene sia difficile identificare gli esatti fattori chiave della radicalizzazione, i tunisini marginalizzati, frustrati da una persistente povertà e un apparente governo inefficace, vedono gruppi come lo stato islamico come una risposta alle loro lamentele.

Tunisia + problematiche sociali irrisolte = risposta aggressiva all’estremismo religioso

Invece di avere come obiettivo le problematiche sociali che aiutano a nutrire l’estremismo a casa, la Tunisia ha adottato una risposta aggressiva di contro- terrorismo in risposta a minacce domestiche – interrogando o mettendo sospetti terroristi agli arresti domiciliari e istituendo un divieto di viaggio che ha impedito a centinaia di tunisini, particolarmente i giovani, dal lasciare il paese. Misure che erano tipiche del regime di Ben Ali.

Costruire una recinzione (con i buchi) non è la panacea per tutti i problemi

Tunisia

Con il supporto statunitense ed europeo, la Tunisia ha completato la recinzione lungo la frontiera con la Libia, costruzione iniziata dopo l’attacco al resort di Sousse. (la stessa Europa che si stupisce perché i suoi stati membri costruiscono recinzioni, finanza la costruzione di recinzioni fuori dalle sue frontiere. Evidentemente è nel filo spinato che si intravedono le soluzioni europee a qualsiasi problema).

Mentre il ministro della difesa tunisino si è detto entusiasta del successo della recinzione, dicendo di aver sequestrato ingenti somme di materiale illegale tra dicembre 2015 e gennaio 2016, la recinzione non è una panacea per i problemi di sicurezza tunisini. Essa copre solo metà della frontiera ed appare più come una trincea; inoltre si parla dell’esistenza di buchi costruiti sulla recinzione per mantenere le rotte di traffici illegali così come frequenti furti delle guardie di frontiera. Molte delle città tunisine di frontiera dipendono dai traffici illegali per sopravvivere economicamente. Mentre beni illeciti (droga, armi e persone) dovrebbero essere prevenuti in entrata, la Tunisia dovrebbe trovare una via per replicare il commercio frontaliero di beni non illeciti.
Sicuramente la roccaforte dello stato islamico a Sirte è una minaccia per la Tunisia, è importante non dimenticare che gli estremisti che conducono attacchi sul territorio tunisino sono quasi esclusivamente tunisini non libici. Si è notato che i tunisini iniziano a ricoprire alte posizioni all’interno dello stato islamico in Libia e che la sua base a Sirte ha incoraggiato alcune migliaia di tunisini che hanno viaggiato verso l’Iraq e la Siria a ritornare nel Nord Africa, ponendo una maggiore, diretta, minaccia alla Tunisia.

Continuare a negare il problema interno alla Tunisia, le difficoltà economiche, particolarmente nelle regioni del sud, la disoccupazione giovanile non farà altro che alimentare la retorica di reclutamento di organizzazioni estremiste come lo stato islamico. Non è colpa della Libia se estremisti, cittadini tunisini, conducono attacchi nel loro paese!

Ottobre 10 2015

Nobel per la pace alla società civile tunisina

Premio nobel per la pace 2015 alla società civile tunisina: due sindacati, la lega per i diritti umani e l’ordine degli avvocati ci raccontano una storia di democrazia. La società civile tunisina chiave di volta del processo di trasformazione politica.

“Il 9 ottobre 2015 il premio nobel per la pace è stato assegnato al quartetto tunisino”. Questa la notizia che hanno diffuso in Italia. Quartetto di archi, quartetto di cosa? Il quartetto per il dialogo nazionale tunisino, elementi della società civile tunisina.

Facciamo chiarezza.

Formato nell’estate del 2013 in piena rivoluzione dei gelsomini. Permettetemi di ricordare come iniziò questa rivoluzione. Mohammed Bouazzi, 26 anni, protestando per la corruzione del governo si diede fuoco fuori dagli uffici del municipio nella città di Sidi Bouzid. Questo ragazzo aiutava la propria famiglia vendendo frutta su un carretto, s’infuriò perchè funzionari locali pretendevano tangenti e gli confiscavano ripetutamente la merce. Il suo sacrificio simboleggia l’ingiustizia e le dure condizioni economiche in cui versavano molti tunisini sotto il regime di Ben Ali; ispirò le proteste che si estesero a tutto il paese contro la disoccupazione, la povertà e la repressione politica.

Chi fa parte del Quartetto?

L’Unione generale del lavoro tunisino assume le redini della creazione di un’alleanza della società civile. Il suo leader Houcine Abbassi, convinse il suo storico rivale: la Confederazione tunisina dell’industria, commercio e artigianato ad unire le forze. Poi si aggiunsero la Lega per i diritti umani tunisina e l’ordine degli avvocati tunisino.

Perché è così importante?

La storia della Tunisia è quella dell’abilità di attori estranei al processo politico standard di entrare nel processo e servirlo come mediatori o critici ovvero entrambi. L’Unione generale del lavoro tunisino che conta più di mezzo milione di iscritti (il 5% della popolazione totale), una branca in ogni provincia e 19 organizzate a seconda dell’attività, penetra la società fino alle radici. La sua influenza economica unita all’estesa esperienza di mediazione e negoziazione acquisita attraverso le trattative giocarono un ruolo cruciale nel 2013.

Questa storia ci insegna che il ruolo della società civile è cruciale per la trasformazione politica. Malgrado quello che pensano i grandi seduti nelle loro comode poltrone a New York nel palazzo di vetro, la società civile conta parecchio, soprattutto perché si tratta proprio di quelle stesse persone il cui destino è appeso al filo di un processo di trasformazione. La road map del Quartetto raggiunta in mesi e mesi di negoziazioni anche aspre, combinava la legittimità elettorale (solo i partiti eletti all’Assemblea Costituente erano invitati a partecipare all’accordo per il Dialogo Nazionale) e il consenso della legittimità: ogni partito aveva due rappresentanti, indipendentemente dalla grandezza del partito,  preservando le istituzioni governative (l’Assemblea non fu sciolta) mentre si modificavano le loro funzioni.

Questa è una vera storia di democrazia nel vero senso della parola. Una storia ONESTA di un dialogo nazionale promosso dagli stessi tunisini e non imposto da zelanti burocrati occidentali. Una storia in cui si è deciso il destino di un popolo non nelle stanze chiuse di partiti, storia da cui l’Italia dovrebbe prendere esempio. Peccato che il nostro presidente del consiglio pensa solo ad attaccare le organizzazioni sindacali e che si è dimenticato totalmente dell’esistenza della società civile, giacchè decide tutto lui. Attenzione perché Ben Ali non è più al suo posto proprio grazie a loro.